Il coniglio presidenzialista

L’assetto istituzionale delineato dalla Costituzione italiana, pur nella sua visione partecipativa, rappresentativa, equilibrata e garantista, necessiterebbe di una sana revisionata. Il tentativo renziano, non era certo la panacea di tutti i mali sistemici, ma meritava un’accoglienza migliore e purtroppo è andato inopinatamente e inspiegabilmente a vuoto: adesso gli insopportabili grilli parlanti lamentano le contraddizioni, a cui prima o poi bisognerà rimettere mano, anche se non sarà facile ritrovare lo spirito costituente in un clima sempre più vuoto e fazioso.

Se un punto dell’ordinamento istituzionale si è rivelato centrato e proficuo, questo è l’elezione a livello parlamentare del Presidente della Repubblica: ha consentito di eleggere, quasi sempre, i migliori esponenti politici, al di sopra degli schieramenti, con larghe maggioranze; quando hanno fatto capolino  gli equilibri politici e l’elezione del presidente della Repubblica è diventata  oggetto di scontro tra opposte fazioni, se ne sono viste immediatamente le conseguenze negative (mi riferisco all’elezione di Giovanni Leone, non per la qualità della persona, ma per la strumentalità dell’operazione).

Ebbene, a dimostrazione della insensatezza delle promesse elettorali sparate alla viva il parroco, qualcuno (il solito, inossidabile e impareggiabile prestigiatore elettorale, Silvio Berlusconi) ha tirato fuori dal cilindro il coniglio del presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo.

“È pronto un referendum che presenteremo subito dopo la vittoria del centro-destra. È ora che noi italiani si possa votare il presidente della Repubblica»: così una delle tante frasi dette da Berlusconi (e non solo da lui) per dare aria ai denti. Non so quanto gli italiani sentano il desiderio di concorrere direttamente col loro voto alla nomina del Capo dello Stato, ma la proposta mi sembra demagogica e campata in aria.

L’elezione diretta non ha senso in un sistema di democrazia parlamentare come il nostro, bisognerebbe allora trasformare tutto l’impianto istituzionale da parlamentare a presidenziale e, se fu giudicato autoritario il progetto renziano, figuriamoci l’idea di “presidenzializzare” il sistema.

Nell’attuale assetto istituzionale il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale ed è munito di poteri riconducibili sostanzialmente al funzionamento del sistema Costituzionale: buttarlo in pasto alle urne non sarebbe un’operazione democratica, ma una scelta populista di assai dubbio gusto, se non di subdolo travisamento dell’ordinamento stesso.

Di questa assurda proposta non si farà nulla, ma che preoccupa è l’improvvisazione con cui si affrontano temi di grande rilevanza. Si sta dicendo tutto e il suo esatto contrario, si sparano cannonate a destra e manca: è come con i fuochi artificiali, che incantano, ma durano solo un attimo, e possono tuttavia fare male e scoppiare in tempi, modi e luoghi sbagliati.

In campagna elettorale è normale che i toni si accendano, le promesse abbondino, i contrasti si inaspriscano. Potrebbe essere un modo, non il migliore, per mettere in grado il cittadino di scegliere tra le diverse opzioni sul tappeto, chiarite da una radicale contrapposizione e da una forte caratterizzazione.  Se il tutto serve però a confondere le idee all’elettore e a rendere impraticabile l’inevitabile mediazione post-elettorale, si fa un pessimo servizio alla democrazia che, come diceva un grande personaggio di cui mi sfugge il nome, comincia veramente il giorno dopo della consultazione elettorale. In effetti la confusione in capo all’elettorato è palpabile e, causa-effetto di ciò, le prospettive politiche del dopo voto risultano altrettanto strane e fantasiose. L’unico baluardo a questa bagarre è il presidente della Repubblica, che dovrà saggiamente e garantisticamente dipanare una matassa scriteriatamente aggrovigliata.

Se ne è accorto persino il furbastro Luigi Di Maio: sta tentando di coinvolgere il Presidente nei giochetti grillini, presentandogli la lista dei Ministri e quindi delegittimandolo a mero preventivo notaio oppure corteggiandolo per averne almeno un gesto di attenzione da spendere tra le ultime cartucce della campagna elettorale.

Pensiamo se anche Mattarella fosse invischiato nel gioco politico, se dovesse rispondere alla parte dell’elettorato che lo ha votato, se fosse un uomo di parte, non avremmo nessun ombrello protettivo. Teniamoci dunque ben stretto un presidente nominato dal Parlamento con la più ampia maggioranza possibile. Il resto lasciamolo al ridicolo riformismo berlusconiano: prima, quando si presentava come “rivoluzionario”, faceva ridere l’Europa e il mondo; oggi si presenta come “moderato” e fa piangere. In effetti non è né estremista, né centrista, è scentrato.