Il campionario delle violenze culturali

Tra le tante assurde proposte e le altrettante sciocche osservazioni della campagna elettorale ho fortunatamente ascoltato un commento appropriato e centrato: una battaglia all’insegna della violenza culturale. Espressione forte, che rende l’idea del clima avvelenato in cui si andrà alle urne e da cui difficilmente ci si può difendere con il rischio di trovarsi ad esprimere un voto più sull’onda emotiva che sulla base razionale.

Gli argomenti non vengono raffreddati per essere poi affettati in un’analisi realistica, ma surriscaldati dalla paura per essere serviti bollenti sulla tavola populista. Il tema dell’immigrazione si presta perfettamente a questa operazione: si sparano cifre esorbitanti e fasulle, si punta sul macabro parallelismo tra immigrazione e delinquenza, si ipotizzano rimpatri di massa eticamente inaccettabili e concretamente impossibili, si soffia sul fuoco dell’ignobile connubio tra immigrazione e terrorismo,  si aizzano i poveri nostrani contro quelli forestieri, si criminalizzano le organizzazioni impegnate nel salvataggio dei profughi, si arriva persino a vedere nell’immigrato un portatore di malattie pestilenziali. Dopo avere seminato tanto vento in campagna elettorale, non si potrà che raccogliere molta tempesta nelle urne.

Altro tema violentato culturalmente è quello della sicurezza: si enfatizzano e strumentalizzano tutti gli episodi di criminalità, si crea un vero e proprio panico nei quartieri periferici, si fa dell’allarmismo soprattutto verso le persone più deboli ed esposte su questo fronte, si avvalora l’idea che i delinquenti vengano tenuti in circolazione prima della loro condanna e liberati senza espiazione della pena comminata, si auspica un controllo poliziesco del territorio, si configura un clima da coprifuoco in cui la gente per difendersi deve asserragliarsi nelle proprie case e sparare a vista.

E veniamo alla corruzione: tutti ladri, tutti corrotti o corruttori, tutti compromessi nell’affarismo dilagante, tutti mangiapane a tradimento, tutti pronti ad intascare bustarelle, a praticare clientele, a sperperare il danaro pubblico, a tenere legami mafiosi, a favorire gli amici, ad arricchirsi a spese dell’erario.

Proseguiamo con i problemi del lavoro: non esiste alcuna possibilità occupazionale, i giovani devono andare all’estero, se si crea un posto di lavoro è a tempo determinato, le donne sono sottopagate rispetto agli uomini, sul posto di lavoro vige la prassi dello stalking, aumentano continuamente i posti a rischio licenziamento, non c’è più alcuna garanzia, la pensione è diventata un miraggio, diventiamo sempre più poveri e insicuri.

C’è in atto una sorta di terrorismo psicologico e culturale, dal quale i partiti, soprattutto quelli estremisti e populisti, tentano di lucrare una rendita di posizione, aggiungendo la demonizzazione dell’avversario, la esasperazione dei toni polemici, la criminalizzazione del competitor, l’insolenza verso l’interlocutore, l’arroganza degli atteggiamenti, la maleducazione sistematica, la spudoratezza dei comportamenti. I media che dovrebbero mettere in crisi questo ambaradan di ingiurie ed oltraggi, cavalcano questo andazzo, lo coltivano, lo istigano, lo indirizzano ad una gara fatta di ingiurie, offese e oltraggi.

Questa è violenza culturale da cui il cittadino elettorale fa molta fatica a difendersi, non avendone gli strumenti, il tempo e il coraggio. Anzi, certe persone di debole ancoraggio democratico possono essere indotte a trasferire la violenza dal piano culturale a quello reale: il passo non è molto lungo, la storia lo insegna.Uno scudo protettivo minimale potrebbe essere quello di scartare i partiti che affrontano i problemi e il dibattito con la protervia dell’ignoranza, la spocchia delle proprie idee e la cattiveria verso gli avversari. Una politica che prescinde dall’etica può essere arginata e battuta rispolverando l’etica quale presupposto della politica.