Vive mal chi vive al Sud

Mi ha fatto una certa impressione leggere quanto rileva l’Osservatorio nazionale della Salute nelle Regioni, con un focus dedicato alle diseguaglianze di salute: un laureato può sperare di viere fino a 82 anni, contro i 77 di chi è meno istruito; l’aspettativa di vita nel Sud-Italia è decisamente inferiore rispetto a quella del Nord-Italia: a Napoli, ad esempio, è minore di 4 anni rispetto a Firenze e Rimini.

Il diverso livello di vita tra le due Italie è cosa nota, ma vederselo sbattuto in faccia in modo così provocatoriamente evidente deve farci riflettere. Il ritardo meridionale ha profonde e complesse motivazioni, che affondano nella storia, non solo del nostro Paese, ciò tuttavia non ci esime dall’affrontare seriamente questo problema. La prima immediata e, per certi versi, semplicistica ragione riguarda lo spreco di risorse pubbliche perpetrato sull’altare dello sviluppo meridionale: è innegabile che i corposi stanziamenti di fondi non abbiano sortito i risultati sperati per cattiva gestione (clientelare) o addirittura per distrazione (mafiosa).  Anche il supporto degli aiuti europei non è riuscito a imprimere la necessaria accelerazione allo sviluppo dell’Italia meridionale.

Non sono assolutamente d’accordo con chi ne deduce questa drastica e fatalistica considerazione: concediamo larga autonomia e si arrangino… Troppo comodo! Qualcuno arriva addirittura a considerare le stragi mafiose, i regolamenti di conti, le faide famigliari come problemi di un territorio da abbandonare a se stesso. Qualche buontempone maledice Giuseppe Garibaldi, altri vagheggiano il muro di Firenze in conseguenza del quale il Nord-Italia diventerebbe una sorta di Paese di Bengodi, una seconda Svizzera. Sciocchezze dure a morire!

Il problema meridionale è il problema dei problemi, da esso non possiamo prescindere. Dobbiamo entrare però in una logica diversa da quella di un puro travaso di risorse per capire come lo sviluppo del Sud sia un’opportunità per tutto il Paese da ogni punto di vista. Parafrasando la storica frase di Garibaldi si potrebbe dire: «Qui si sviluppa il sud o si muore tutti».

I sondaggi elettorali prevedono in Meridione, oltre la scontata e forte astensione, una propensione al voto grillino e un certo ritorno al voto di destra: l’antipolitica e il populismo. Gli sforzi fatti dai governi riconducibili al centro-sinistra non vengono riconosciuti e premiati. Peraltro l’inquinamento corruttivo continua ad imperversare e l’influenza mafiosa non abbandona l’osso, anzi tende ad allargarsi anche al Nord. Un quadro sconfortante e condizionante. Non so se sia nato prima l’uovo della sfiducia e della rassegnazione periferiche o la gallina della trascuratezza e dell’emarginazione centrali. Non ho sinceramente idea di quanto la mafia possa influire sulle prossime elezioni: si tratta solo dell’ultimo atto di una intromissione socio-culturale radicata e profonda.

Abbiamo davanti un processo lungo, difficile e pericoloso: forse varrebbe la pena che nel preparare le nostre intenzioni di voto partissimo da questo nodo cruciale, vagliando le forze politiche sulla base delle loro proposte al riguardo. Non dimentichiamo che larga parte della responsabilità politica è però degli enti pubblici territoriali, regioni e comuni, e lì, in un certo senso, il discorso si fa ancor più difficile perché esposto all’influenza dei potentati e delle clientele locali. Concludendo il ragionamento, cercherò di votare con un occhio disincantato, attento e critico alla questione meridionale, senza prevenzione alcuna, ma con spietato realismo politico abbinato ad un forte afflato etico.