Il viaggio apostolico di papa Francesco in Cile è stato preceduto da polemiche e disordini avvenuti in quel Paese, sostanzialmente riconducibili, se ho ben capito nonostante la sordina mediatica applicata, allo spreco di risorse effettuato per la preparazione e lo svolgimento di questo evento a fronte dei gravi problemi socio-economici della gente cilena. Probabilmente si tratta solo della punta dell’iceberg riguardante lo scetticismo verso la credibilità della Chiesa nella lotta contro le povertà e le ingiustizie: della serie “predica bene, ma non si capisce come razzola”.
Ciò mi porta immediatamente a considerare il brano evangelico in cui l’apostolo Giuda, ben prima del tradimento, osa fare un appunto socio-politico in occasione dell’episodio della donna, probabilmente la Maddalena, che unge, senza ritegno alcuno, i piedi e il capo di Gesù. Giuda insinua un pesante dubbio: «Non si poteva utilizzare meglio questi costosi unguenti, vendendoli e dando il ricavato ai poveri?». Il Maestro non scende in questa polemica e risponde che Lui presto se ne andrà, mentre i poveri faranno compagnia ai discepoli per sempre e quindi invita Giuda a lasciare in pace la donna gli sta rendendo omaggio.
Cosa voglio dire? Mi sembra pretestuosa la polemica insorta: i problemi cileni esistono da prima della visita papale e ci saranno anche dopo e quindi la bella accoglienza riservata a Francesco non è in contrasto con le difficoltà del popolo cileno. Ricordo come nella mia famiglia, dove regnava sovrana la povertà, si facevano comunque i salti mortali per accogliere dignitosamente gli ospiti illustri e graditi.
Quando i papi se ne stavano rintanati in Vaticano venivano criticati per la loro lontananza rispetto ai drammatici problemi della gente, ora che girano il mondo li si critica perché farebbero sprecare soldi e tempo nei loro impegnativi viaggi. Quando capita un disastro, se i governanti non si recano sul posto, vengono accusati di insensibilità, se si recano in visita alle persone colpite, sono bollati come demagoghi e perditempo.
Francesco deve tuttavia fare i conti con l’apertura sociale che caratterizza il suo papato: i poveri sanno essere generosi, ma sanno anche essere esigenti. Non tocca al papa risolvere i problemi sociali, mancherebbe altro, ma bisognerebbe, come si suol dire, andare giù una mano di vanga: è quello chi si aspettano esageratamente le folle (era così anche ai tempi di Gesù).
Però bisogna usare molta accortezza e prudenza: forse il Vaticano e la Chiesa a livello istituzionale e pastorale devono aprire in tutti i sensi le porte prima e più di quanto i diversi Paesi possano e debbano aprire le porte al papa.
In secondo luogo mi sembra che le linee politiche di questo pontificato siano lasciate un po’ troppo all’ammirevole, generosa e solidaristica improvvisazione papale. Manca il tessitore della tela internazionale, un segretario di stato all’altezza della nuova, problematica ed impegnativa strada tracciata da Francesco, che non è un papa politico come poteva essere Paolo VI, né un papa giramondo come poteva essere Giovanni Paolo II, né un papa dogmatico come poteva essere Benedetto XVI.
Ho l’impressione che manchi la squadra e che alla lunga questa debolezza possa condizionare gli innovativi proponimenti e compromettere gli esiti della coraggiosa azione avviata da Francesco. Detto brutalmente, Giovanni Paolo II se ne sbatteva altamente della curia e della dimensione clericale della Chiesa, guardava alla gente, arringava le folle, cercava le radunate oceaniche e, mentre lui viaggiava, i porporati facevano i fatti loro.
Detto altrettanto brutalmente, papa Francesco non risparmia critica e rimbrotti alla Chiesa istituzione, suona la sveglia alla Chiesa comunità di credenti, testimonia al mondo una forte dimensione evangelica, ma tutto rischia di rimanere a mezz’aria o addirittura, in certi casi, di ritorcersi contro di lui. Forse il mestiere di papa è il più difficile che ci possa essere e non va valutato e giudicato con criteri umani. Chiedo scusa se mi sono permesso…