L’utilizzo dello smartphone è diventato una specie di ossessione per (quasi) tutti. Una volta, scherzando goliardicamente con gli amici, mi sono chiesto quando si riuscirà ad utilizzarlo per un clistere o…poi mi sono fermato per non essere scurrile o addirittura volgare.
Finalmente papa Francesco ha inflitto un teorico colpo madornale a questa mania generalizzata: se ne sconsiglia caldamente l’uso durante le celebrazioni liturgiche, non solo per non disturbare o essere disturbati dalle chiamate, ma anche per evitare di scattare fotografie e immortalare ricordi.
In effetti quando si assiste televisivamente a qualche rito a livello vaticano presieduto dal Papa, si è colpiti dai bagliori di un’autentica gragnola di scatti fotografici partenti dai telefonini (persino da quelli dei numerosi sacerdoti concelebranti): colpa della mania che ci perseguita e che non dovrebbe avere niente da spartire con una seria partecipazione alle liturgie eucaristiche.
Un tempo il discorso era limitato ai Battesimi, alle Cresime, alle Prime Comunioni, ai Matrimoni ed alle performance dei fotografi ufficiali e di qualche parente o amico. Ricordo al riguardo le battaglie di certi sacerdoti volte a contenere al massimo queste fastidiose trasgressioni: battaglie perse a giudicare dall’inflazione attuale.
Ho accolto con soddisfazione e sollievo la raccomandazione papale volta a sottolineare l’incompatibilità sostanziale tra il significato della celebrazione eucaristica e la smania di scattare le foto col telefonino. Sarebbe come se sul Calvario le donne strette attorno alla Croce di Cristo si fossero preoccupate di cogliere l’aspetto spettacolare dell’evento. Come se l’apostolo Giovanni si fosse brevemente allontanato per godere meglio la scena.
Se però di inopportuna spettacolarizzazione vogliamo parlare, il discorso lo dobbiamo vedere da entrambe le parti: da quella dei promotori e dei protagonisti principali del rito oltre che da quella dei distratti componenti del popolo di Dio.
Assistiamo in televisione ai riti celebrati in Vaticano, in S. Pietro a Roma, e ne cogliamo la pesante teatralizzazione, abbiamo la sensazione di assistere ad assurde messe in scena degne del miglior Franco Zeffirelli. Il prossimo Natale non mancherà di fornire ghiotte occasioni al riguardo.
A quando, papa Francesco, una ventata di aria fresca anche in questo campo? A quando il licenziamento dell’insopportabile ed impettito maestro di cerimonie, protagonista instancabile di un marcamento a uomo del pontefice ovunque celebri una messa? Mi sembra che il tutto possa essere considerato una sorta di istigazione a rovinare l’Eucaristia facendone un’occasione di pur perbenistica ma dissacrante memoria. Se mettiamo su un piatto d’argento tutta l’esteriorità liturgica possibile, diventa difficile pretendere che non venga assaporata con accanimento. Con le arie che tirano si spettacolarizza tutto, quindi anche le messe addobbate e sovraccaricate di esteriorità.
Poi entriamo in certe chiese periferiche e torniamo a terra, per constatare la routinaria pochezza di liturgie sbrigativamente ed anonimamente finalizzate solo al tagliando di adempimento del precetto festivo. Da una estremità all’altra: dalla vuota enfasi rituale alla banalizzazione precettistica. Là scatti con lo smartphone, qui scatti per uscire di chiesa il più alla svelta possibile.