Da parecchio tempo mi sono chiesto cosa trovi Giuliano Pisapia di tanto progressista in Bruno Tabacci (suo compagno di cordata) rispetto, che so io, a Domenico Del Rio e ai dirigenti in genere del Partito Democratico. La domanda mi è tornata ancora più spontanea, quando l’ex sindaco di Milano ha gettato la spugna riguardo alle trattative per un’alleanza col PD condotte con Piero Fassino, chiamandosi fuori in prima persona e sciogliendo di fatto il suo Campo Progressista. Se ho ben capito – non è facile infatti comprendere le mosse strategiche e tattiche degli esponenti dell’area di sinistra – non ritiene possibile un’alleanza col PD, complici i tentennamenti sull’approvazione del cosiddetto Ius soli.
Quest’ultimo mi sembra un argomento pretestuoso, perché Pisapia sa benissimo che questa legge non può contare su un pacifico consenso parlamentare e rischia di incrinare i rapporti con gli alleati di centro (gli amici di un tempo di Bruno Tabacci) ed affrettare la caduta del governo in carica, con grave pregiudizio per tutta la problematica sul tappeto. Sono portato a pensare che Pisapia sia invece rimasto spiazzato dal nuovo movimento “liberi e uguali” e soprattutto dalla mossa di Pietro Grasso che si è reso disponibile a capeggiarlo. Gli hanno praticamente tolto la terra sotto i piedi, lui ha cominciato a traballare e ha colto l’occasione per farsi da parte: in effetti tre partiti di sinistra erano un po’ troppi, già di due uno avanza, immaginiamoci tre. Pensava di poter essere il referente di tutto il mondo alla sinistra del PD in dialogo collaborativo con lo stesso PD: il progetto è fallito per i troppi protagonismi e soprattutto per l’astio viscerale verso Renzi che manca nel pedigree di Pisapia.
Non ho ancora capito quanto ci sia di ingenuo e/o di sprovveduto nel carattere e nella mentalità di questo personaggio: sicuramente è in buona fede e, con le arie che tirano, non è poco, ma non ci voleva molto a prevedere che i soliti marpioni della solita sinistra (D’Alema) lo avrebbero impallinato alla svelta. Molto probabilmente finirà così prima o poi anche Grasso: lo stanno strumentalizzando in modo vergognoso e lui sta al gioco in modo altezzoso e ambizioso.
Oltre tutto Pisapia, per diventare sindaco di Milano, non ha forse fatto un’operazione assai simile a quella renziana: una sinistra, tutt’altro che estremista, che guarda al centro (Tabacci ne era appunto un lucido e intelligente protagonista e garante). Pisapia, pur provenendo dall’area politica della sinistra estrema, non fa parte della burocrazia sinistrorsa che vuole reimpossessarsi non tanto del governo del Paese, ma dell’egemonia sul vecchio popolo ancora sensibile (non so quanto) ai richiami della foresta. Troppo moderato per gli uni, troppo spinto per gli altri, schiacciato in mezzo ad una morsa in cui non ha avuto il coraggio di resistere.
Quando si profilò all’orizzonte il suo ambizioso ma vago disegno politico, Beppe Grillo, che la politica la capisce più di tutti i pentastellati messi assieme, lo ribattezzò “Pisapippa” con il suo solito gusto dissacrante e distruttivo: allora ne risi soltanto, ora non ne rido più, perché ne esce con la patente di “pasticcione inconcludente” (e me ne dispiaccio sinceramente).
D’altra parte se l’arte del pizzaiolo napoletano è stata dichiarata patrimonio culturale dell’Umanità Unesco, considerata non come fenomeno commerciale ma come forma culturale, l’arte del cuoco politico milanese, Giuliano Pisapia, la possiamo ben inserire nel patrimonio culturale dei progressisti, considerata non come fenomeno della sinistra ma come pasticcio delle sinistre.