Fanno sorridere quanti sostengono che Matteo Renzi voglia impossessarsi delle Istituzioni occupandole con uomini a lui particolarmente vicini: infatti, in capo al segretario del Pd, eletto quasi plebiscitariamente con vere elezioni primarie, si sta creando una situazione quasi paradossale, vale a dire un certo isolamento rispetto a coloro che presiedono le istituzioni.
Paolo Gentiloni, capo del governo, mantiene nei confronti di Renzi un’autonomia al limite del separatismo: ciò si è dimostrato in parecchi casi, ultima la conferma del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, verso cui il Pd aveva, seppure indirettamente, manifestato qualche perplessità. Di conseguenza anche la Banca d’Italia non avrà un feeling particolare col segretario del Pd.
La presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, di provenienza Sel, ha aderito espressamente a Campo Progressista, la recente formazione politica capeggiata da Giuliano Pisapia e quindi non è certo in rapporti idilliaci con Renzi e lo si capisce spesso.
Il presidente del Senato Pietro Grasso si è chiamato fuori dal Pd senza mezzi termini, segnando un netto disaccordo di merito e di metodo con la segreteria Renzi e con il gruppo senatoriale del partito (la legge elettorale è stata solo l’occasione per ufficializzare la rottura).
Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano da tempo strizza l’occhio alla minoranza interna al Pd ed ha preso ultimamente e distanze in ordine alla legge elettorale per come è stata approvata, ma anche per il suo contenuto. Non parliamo degli altri ex (Prodi, Monti, Letta, etc) a cui ho già dedicato un acido commentino (non mi ripeto e rimando lettori ad un precedete pezzo).
Se questo vuol dire invadenza renziana… Proviamo a immaginare cosa farebbero e cosa fanno altri leader politici italiani. Il relativo isolamento renziano non può certo essere ascritto ad ostilità preconcetta nei suoi confronti: c’è anche quella, ma pure lui ha le sue responsabilità politiche e caratteriali. Da qui ad essere accusato di collezionismo poltronaro ed invadenza istituzionale ce ne passa.
Pensiamo se Berlusconi avesse un forzista a capo del governo. Tenderebbe a manovrarlo come una marionetta, non si farebbe tanti scrupoli istituzionali. E che dire di Beppe Grillo? Non consentirebbe certo a Luigi Di Maio di nominare un governatore della Banca d’Italia in contrasto col parere suo e della maggioranza del movimento cinque stelle (certi sindaci, consiglieri e deputati grillini sono stati emarginati o espulsi per molto meno).
La forza di Matteo Renzi sta diminuendo non tanto per un calo nei consensi statisticamente pesati, ma per il suo progressivo isolamento istituzionale che non è conseguenza ma causa di debolezza politica. L’unica istituzione che mantiene una sacrosanta neutralità è la Presidenza della Repubblica: Sergio Mattarella è capace di tenersi fuori dalla mischia e, se interviene, lo fa con stile impeccabile e discrezione invidiabile.
Persino Massimo D’Alema si è accorto che la torta intorno a Renzi si sta facendo smaccata: ha invitato tutti a non tirare per la giacca Pietro Grasso, anche perché probabilmente gliel’hanno già tirata e rischierebbe di rimanere in maniche di camicia.