Un tempo il medico di famiglia oltre che saper curare le malattie (senza spedire frettolosamente i malati dagli specialisti o all’ospedale all’insorgere del minimo disturbo), dopo averle diagnosticate (senza l’ausilio di eco, tac, pet e altri sofisticati marchingegni), avevano anche il compito di dare consigli comportamentali e regole di vita ai loro disponibili pazienti.
Era certamente il caso della mia famiglia, per la quale un medico all’antica, che non sbagliava un colpo, forniva preziose interpretazioni della realtà. Riguardo all’estate (ai tempi in cui l’aria condizionata era di là da venire e le vacanze si limitavano ad una scampagnata fuori-porta nel giorno di ferragosto), alle solite lamentazioni per il caldo e l’afa rispondeva così: «Vi lamentate tanto per il caldo, ma non sapete che in estate molte malattie scompaiono o allentano il loro ritmo e quindi, tutto sommato, che si vive meglio usando il fazzoletto per asciugarsi il sudore piuttosto che il naso…».
Sì, in estate sono più gli aspetti esistenziali positivi di quelli negativi. Fra i primi c’è… l’assenza del calcio giocato, da cui ci si riesce finalmente e fortunatamente a disintossicare, anche se è sempre in agguato quello parlato assai meno avvolgente e invadente. Purtroppo l’estate è finita e, oltre agli acciacchi gastro-intestinali, reumatici e respiratori, cominciamo a rifare i conti con le partite di calcio, trasmesse, commentate, analizzate, centellinate dalle televisioni a pagamento e non: una girandola pallonara sempre più insopportabile e artificiosa. Mancava solo la var (preferisco chiamarla moviola in campo per far prima) a completare la giostra.
Ebbene, nel pomeriggio festivo di ieri, complice un brutto mal di schiena (colpa della stagione o delle stagioni?), per alleggerire il dolore, reagire all’immobilità e prescindere, almeno un poco, dalla ossessionante lettura di libri e giornali, ho avuto la cattiva idea di accendere il televisore anziché rifugiarmi nel tradizionale e radiofonico “tutto il calcio minuto per minuto”. Da alcuni anni fanno, o meglio intenderebbero fare, la parodia dell’invecchiata. ma sempre valida trasmissione antenata (tutto il calcio…), chiamandola “quelli che il calcio…”, andando a prestito da Enzo Iannacci, che di satira se ne intendeva, mentre gli assurdi presentatori attuali sembrano bambini che giocano a fare i grandi (un tempo si giocava al dottore, oggi si gioca al presentatore): ore di idiozie che vorrebbero ridimensionare e beffeggiare il fenomeno calcio e finiscono col farlo rimpiangere per quello che è. Brutto ma autentico, sempre meglio di battute stupide, ironie da cortile, farneticazioni satiriche, digressioni snob, sciocchezze a non finire.
Ho rimpianto il caldo soffocante dell’estate appena passata: valeva la pena pagare il prezzo dell’afa pur di essere liberi di respirare senza la maschera dell’ossigeno inquinato del calcio. Aveva ragione il medico dei miei anni verdi.
Tra l’altro non c’è peggior critico di chi non sa criticare; sarebbe sacrosanto ridimensionare il fenomeno calcio, ma facendo così lo si rivaluta. Sono solo buffoni alla corte calcistica. Perso per perso, meglio i presidenti che aprono le curve agli ultras mafiosi, meglio gli ultras che si fanno guerre spietate e cruente, meglio i giocatori che fingono di esultare per il gol fatto ma in realtà godono per l’ingaggio astronomico, meglio i cronisti sportivi che dissertano di tattiche e di strategie come se si trattasse di battaglie navali, meglio gli allenatori che non tacciono, non stanno fermi un attimo e fanno una confusione tale da confondere la testa anche al più lucido dei loro giocatori, meglio il carrozzone di prima classe, dove si disserta di calcio in modo sussiegoso, piuttosto di quello di terza, dove si fanno pernacchie e sberleffi pensando di dare fastidio ai passeggeri di alto bordo.
uesti QQuesti mangia calcio a tradimento mi hanno fatto venire voglia di riascoltare le asettiche e professionali radiocronache di un tempo (ma Sandro Ciotti è morto da un pezzo) o addirittura di tornare allo stadio, sui vecchi e logori spalti (ma mio padre non c’è più…era lui che mi salvava). E allora? Mi tengo il mal di schiena e a denti stretti rileggo un libro (“Dallo scudetto ad Auschwitz”), su una storia di calcio mischiata alla vita e alla morte di un allenatore ebreo finito in un campo di concentramento.