Se la ricostruzione, più o meno romanzata, della vita e della morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci restituisce la migliore immagine possibile della magistratura, l’intervista del capo della polizia Franco Gabrielli ci offre una visione tranquillizzante delle forze dell’ordine. Allora uno si chiede: possiamo, democraticamente parlando, dormire sonni tranquilli tra i due guanciali di polizia e magistratura. Ho parecchi dubbi al riguardo.
Falcone e Borsellino erano punte di diamante che hanno messo e continuano a mettere a nudo le manchevolezze di un sistema giudiziario piuttosto ripiegato su se stesso, talora compromesso col potere politico e affaristico, assai corporativo e preoccupato di difendere i propri privilegi, poco efficiente e pieno di contraddizioni. Molti giudici hanno pagato con la vita il loro impegno contro le mafie e la corruzione, hanno scontato la loro personificazione nello Stato, hanno avuto il coraggio di scoperchiare pentole puzzolenti, di andare contro-corrente. Non è bastato e non basta a togliere il tarlo di una magistratura, che spesso non riesce a fare giustizia, forte coi deboli e debole coi forti, lenta e burocratica, restia a ripulirsi dalle pecore nere.
Alle forze di polizia bisogna riconoscere l’abnegazione e il coraggio impiegato nel loro difficile e rischioso servizio, ma il passato e il presente ci mettono davanti comportamenti nostalgicamente e gratuitamente violenti, una certa qual tendenza alla giustizia sommaria e vendicativa, una caduta piuttosto frequente nell’abuso del proprio potere, l’omertà nei confronti di chi sbaglia nei propri ranghi, la volontà di coprire responsabilità ed errori ai vari livelli. Franco Gabrielli contribuisce con equilibrio e onestà intellettuale a voltare pagina rispetto alla “catastrofe” della gestione dell’ordine pubblico del G8 di Genova nel lontano 2001, ma faccio fatica a credere in una conversione democratica totale dei comandi e degli operatori delle forze dell’ordine.
Se un gestore di uno stabilimento balneare fa l’apologia del fascismo, mi dà enorme fastidio, ma non mi preoccupa più di tanto. Se in una caserma una persona fermata viene sottoposta a violenza con tanto di obbligo a urlare “Viva il Duce”, le cose cambiano e si complicano, perché vuol dire che non siamo nella episodica manifestazione di un misto fra goliardia e nostalgia, ma nella espressione di una mentalità anti-democratica incistata negli organi dello Stato, inaccettabile da tutti i punti di vista, possibile e probabile preludio a ben altre violenze e procedure. Successe alla caserma di Bolzaneto, ma roba del genere temo possa continuare a succedere, nell’indifferenza dei capi, anche nelle caserme dell’esercito.
Non pensi quindi Gabrielli di avere archiviato un passato che continua ad incombere, di aver fatto pulizia, con una pur bella e schietta intervista, di una sporcizia incrostata, credo dovrà usare ben altro “unto di gomito” democratico ed anti-fascista. Sì, perché non dimentichiamoci mai che la nostra Repubblica è tale e non ammette deroghe, nemmeno in nome dell’ordine pubblico, che infatti non è un valore assoluto.
In una delle fiction su Falcone e Borsellino viene presentato un episodio durante il quale appare il loro netto ed inequivocabile rifiuto all’uso da parte dei poliziotti di metodi violenti e sbrigativi per combattere la mafia: «No, noi non siamo come loro! Avete capito!».
Sì, noi non siamo mafiosi e non siamo fascisti. La Costituzione dice che siamo democratici: che lo siamo veramente lo dobbiamo dimostrare nei fatti, anche gestendo correttamente le situazioni più difficili e delicate in cui la violenza sembra essere la cifra imprescindibile.