È molto difficile capire fin dove la paradossale, drammatica e sconvolgente dimenticanza di un figlio-bambino per ore su un auto, al punto da provocarne la morte da soffocamento, sia ascrivibile alla colpevole e incredibile leggerezza umana di un genitore oppure all’inumana, sistemica e stressante routine cui siamo sottoposti.
Non voglio sovrapporre facili reprimende al dramma umano di persone segnate per tutta la vita da questi episodi sconfortanti ed allarmanti: posso immaginare il rimorso che li accompagnerà per tutta la vita e che spero possa essere alleviato dalla solidarietà di persone amiche.
Mi pongo invece una domanda molto scomoda e profonda: se la nostra società è impostata in modo tale da comportare simili drammi, vuol dire che abbiamo sbagliato quasi tutto. Se è così, siamo tutti complici di un sistema sbagliato e malato, dove non esistono scale di priorità, dove le persone diventano inevitabilmente cose, dove il lavoro costituisce una tortura che ci abbruttisce, dove la famiglia è un peso troppo grande da sopportare, dove i figli sono pacchi postali da collocare, dove il tempo ci stringe in una morsa asfissiante, dove si perde non solo la memoria del passato ma anche quella del presente, dove ci aggiriamo come ingombranti e freddi fantasmi.
Non saprei da dove cominciare per cambiare il nostro modo di vivere, certo bisogna cambiare. Sì, anche perché i disastri si moltiplicano e si susseguono a catena: una valanga che rischia di sommergerci tutti.
Non credo alle solite dotte analisi scientifiche che tentano di spiegare l’inspiegabile. Tanto meno mi illudo che bastino un dispositivo d’allarme innestato su un seggiolino e una leggina che lo renda obbligatorio a liberarci dall’incubo. Cerchiamo di essere seri. Tutto serve, ma non prendiamoci in giro. Noi vogliamo sempre risolvere i problemi a valle, quando è tardi. Muoiono migliaia di giovani al rientro notturno dalle discoteche? Chiudiamole prima! Gli stadi sono diventati arene di combattimento fra tifosi? Mettiamo una tessera all’ingresso per controllare! Migliaia di persone sono vittime del gioco d’azzardo? Eliminiamo le slot machines e i gratta e vinci!
Mio padre aveva un approccio piuttosto originale e scettico verso il gioco d’azzardo. Lo aborriva al punto da ingaggiare una vera e propria lotta contro di esso allorquando si accorse che un suo carissimo nipote era caduto in questo devastante gorgo. Lo raggiunse in piena bisca clandestina, lo trascinò via, lo rimproverò mettendo in gioco tutto il proprio carisma parentale e la propria autorevolezza etica, riuscì nel miracolo ben spalleggiato da mia madre: a questo simpatico, buono e carissimo nipote avevano fatto da tutori. Lo scetticismo però non mancava mai e quindi, quando sentiva demonizzare il gioco del poker, diceva: «As pól zugär a sòld anca con la bríscola…basta mettrogh su dez mila franc a sign…». Quanto poi alle disastrose conseguenze sul portafoglio dei giocatori era solito riflettere a bassa voce: «A zugär i van in arvén’na… e va bén… mo ag sarà pur anca col ca vènsa…».
Mio padre voleva dire, col suo innato scetticismo ed il suo esperienziale disincanto, che il male va tagliato alla radice e anche, possibilmente, all’inizio. Torniamo quindi a bomba. Dimentichiamo i figli nelle nostre automobili? Inseriamo un meccanismo che ci tenga allertato il cervello! A nessuno viene il dubbio che il male sia molto più profondo? A me sì! E mi sento in colpa, come singolo e come società. Diamoci una regolata, perché il tempo è scaduto e la strage degli innocenti imperversa. Al momento non sono in grado di aggiungere altro.