Tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, avere evitato il precipizio che si intravedeva in fondo ad una strada non vuol dire necessariamente che non si presentino altri pericoli e che la strada alternativa imboccata sia automaticamente quella giusta. Mi riferisco alla vittoria di Emmanuel Macron nelle elezioni presidenziali francesi e alla sua nuova “marcia” politica.
I primi due atti, uno istituzionale, l’altro strategico, vale a dire la nomina a capo di governo di Edouard Philippe (con il contorno di una compagine, buona per tutti i gusti, aperta un po’ a tutti, dagli (ex) socialisti ai fedelissimi di Sarkozy, dai centristi ai macroniani di ferro, con qualche contentino alle donne, agli ambientalisti, ai tecnici ed ai manager), un sedicente uomo di destra moderata proveniente dalle file dei gollisti e il viaggio in Germania per incontrare Angela Merkel, la probabile cancelliera anche dopo le prossime elezioni di settembre, hanno smorzato gli esagerati entusiasmi ed avvalorato le iniziali perplessità.
I due punti qualificanti della candidatura e del trionfo elettorale macroniano sono stati la convinta adesione al progetto europeo e il superamento dei partiti tradizionali in netta crisi di credibilità e consenso. Mi aspettavo quindi scelte iniziali meno precipitose (nel caso del vertice franco-tedesco) e più coraggiose (per quanto concerne la scelta del premier).
Mi sembra che anziché compiere atti innovativi, Macron abbia voluto pagare in fretta due prezzi, uno alla politica francese, l’altro all’establishment europeo, pensando presuntuosamente di acquisire a basso prezzo i due riferimenti su cui basare la sua presidenza: la politica tradizionale comprata a livelli da saldo di fine gestione fallimentare, l’Europa cavalcata da salvatore, riscattandola da una battaglia che stava prendendo una gran brutta piega. Una partenza in quarta dopo l’accensione del rinnovato motore dell’orgoglio nazionale (un po’ troppo per i miei gusti).
Non ho capito su quali basi voglia rilanciare il disegno europeo e verso quali obiettivi voglia orientare la politica interna. È vero che da una parte la sinistra tradizionale non riesce a rappresentare e dialogare col popolo e dall’altra la destra non sa fare altro che rispolverare i vecchi miti del nazionalismo e del protezionismo, ma non credo che l’alternativa possa risolversi nel mero continuismo europeo e nel puro pragmatismo economico.
Oltre tutto ha scelto come partner preferenziale quella Germania che ha ben altra situazione economica e più solida articolazione partitica. Il suo punto di forza sta indubbiamente nel vantaggio generazionale che riesce ad accreditarlo come uomo nuovo, fuori dagli schemi, e dotato di grande verve modernista. Ma quanto durerà questo buono-sconto: due giorni, due mesi, due anni? Le ravvicinatissime elezioni per il parlamento francese saranno una prima verifica di tenuta: avrà la maggioranza all’assemblea nazionale col suo movimento? Dovrà ricorrere a qualche patto trasversale? Quali prezzi dovrà pagare? Ma soprattutto non gli basterà un frettoloso patto elettorale con la cosiddetta società civile per garantirsi una perenne luna di miele e tenere a bada i problemi che la società racchiude in sé e che non mancheranno di esplodere prima di quanto si possa immaginare.
Non sto gufando, non voglio spegnere scetticamente le speranze, sto solo cercando di capire come riuscirà a coniugare liberté et egalité: oltre due secoli fa i francesi cercarono di trovare nella fraternité il punto di saldatura. Non riuscirono benissimo. Da decenni non riesce alla sinistra riformista al punto da innescare pericolosi bagni di ritorno nell’ideologia socialista. La destra trova nel primato della libertà la soluzione automatica del problema, enfatizzando la libertà dalla povertà e dalla paura. Solo papa Francesco trova la sintesi, ma ha dietro uno sponsor infallibile e soprattutto non ha (cerca di non avere) esigenze politiche: anche lui quando si affaccia alla politica corre immediatamente qualche rischio. Immaginiamoci Macron!