Non ho mai sopportato e non accetto tuttora lo scandalismo costruito strumentalmente intorno al trattamento economico dei parlamentari, dei ministri e dei più alti funzionari pubblici ( magistrati, etc.). Se devo essere sincero mi infastidiscono invece i lauti guadagni dei divi dello sport e dello spettacolo. Mi si dirà che sono una questione privata, che non influisce sulle casse erariali. Sì, anche se alla fine tutto riguarda tutti e restano uno scandalo assai più degli stipendi dei deputati o dei consiglieri regionali.
Anche la polemica sui costi della politica non mi entusiasma. Mio padre di fronte a tali discorsi diceva ironicamente: «Se spendäva meno quand a cmandäva vón e chiètor i dzèvon sémpor äd sì…». Sono del parere che il denaro pubblico impiegato per far funzionare le istituzioni democratiche sia ben speso. Se le istituzioni non funzionano, è un altro discorso: ma il problema non si risolve “minimalizzando” la politica, ma massimizzando la sua efficienza e la sua vicinanza alle istanze dei cittadini.
Qualcuno direbbe che la politica, con i suoi costi, è un male necessario; io vado ben oltre ed esprimo la netta convinzione, nonostante tutto, che sia un bene opportuno ed importante.
Altri discorsi sono la corruzione, la scorrettezza, l’accaparramento scorretto e sleale da parte dei politici. Ricordiamoci che la congruità del compenso dovrebbe essere inversamente proporzionale alla propensione a confondere la politica con gli affari e gli interessi personali.
Lo stesso Matteo Renzi ha sbagliato, a mio giudizio, a legare seccamente la bontà della riforma costituzionale, portata avanti in questi anni e sottoposta al vaglio referendario dei cittadini, con la diminuzione, sic et simpliciter, delle poltrone e del conseguente loro peso economico. Non si tratta di tagliare per tagliare, ma di tarare quantitativamente e qualitativamente la politica e le Istituzioni sulle esigenze di una società in trasformazione continua e sulle sue caratteristiche essenziali. Il Senato non andrebbe abolito per sfoltire e per risparmiare, ma per togliere o ridimensionare un organo istituzionale che con l’andare del tempo si è rivelato alquanto pleonastico e ripetitivo.
Certo, se partiamo col considerare chi fa la scelta di dedicarsi a tempo pieno alla politica come un fannullone, un privilegiato, un profittatore, una sanguisuga, un contaballe, arriviamo a pericolosissime conclusioni, mettendo in discussione i meccanismi della democrazia rappresentativa e della democrazia stessa, e dal momento che non ne è ancora stata escogitata una forma credibile diversa…
Non è nemmeno un discorso serio l’auto-abbattimento dei compensi a significare che sono eccessivi e spropositati rispetto all’impegno e alle responsabilità di chi li percepisce. Si tratta di determinarli in modo equo e tali da garantire una retribuzione dignitosa e corrispondente al tipo di vita richiesto per assolvere al meglio la funzione assegnata. Il pauperismo non è per la politica, così come il volontariato o il vocazionismo etico. Non dobbiamo prenderci in giro con menate demagogiche.
Ciò non toglie che vadano eliminati assurdi privilegi e favoritismi più fastidiosi che costosi. Si faccia una volta per tutte una sana riforma degli emolumenti, dei rimborsi spese e dei trattamenti pensionistici dei componenti delle istituzioni a tutti i livelli, ministri, parlamentari, consiglieri, assessori e governatori regionali, consiglieri ed assessori comunali, sindaci, e poi si smetta una buona volta di fare inutili e fuorvianti polemiche.
Troppo spesso emergono episodi di abusi e scorrettezze e qui occorrerà vigilare e colpire con fermezza e severità, evitando le solite generalizzazioni al peggio.
Il capitolo dei rimborsi spese è forse quello più delicato che si presta ad abusi, frodi e manovre clientelari e familistiche. Si sono registrate in passato vicende decisamente poco simpatiche, alcune delle quali hanno trovato tuttavia un ridimensionamento, se non addirittura una rimozione, a livello giudiziario (sarebbe il caso, da parte degli organi indaganti, di essere un tantino più cauti e circostanziati).
Al riguardo starebbe emergendo un bel vespaio anche a livello europeo in capo ai parlamentari, alcuni dei quali facenti parte di movimenti spiccatamente antieuropei o euroscettici: della serie l’Europa non ci piace, ma i suoi fondi ci fanno comodo. Il curioso dato politico è questo.
Se non erro, a livello storico, i rivoluzionari, per fare guerra ai regimi, si sono serviti anche degli strumenti di regime: inglesi, francesi, polacchi, italiani, sembra che giocassero sull’equivoco dei loro collaboratori fuori sede in tutt’altre faccende affaccendati. Si difenderanno magari dietro un banale “il fine giustifica i mezzi”?. Resterebbe da capire qual è il fine e quali sono i mezzi.
Il condizionale è sempre d’obbligo e, leggendo sui giornali le controdeduzioni dei parlamentari europei coinvolti, rappresentanti dell’Italia, si nota innanzitutto un livello culturale molto modesto e vengono forse a galla molta faciloneria e parecchio pressappochismo più che veri e propri disegni fraudolenti per aggirare le regole.
Quel che si capisce è che questi parlamentari europei hanno sicuramente agito con leggerezza nell’usufruire di fondi europei per il rimborso delle loro spese. Solo pasticcioni dunque? Staremo a vedere, senza condannare nessuno anzitempo, ma chiedendo da subito almeno più attenzione e scrupolo nel maneggiare quantità consistenti di soldi pubblici (europei o italiani che siano).
Ho recentemente sentito finalmente affrontare il discorso della remunerazione dei politici con giusto taglio realistico: come si può chiedere competenza, esperienza, dedizione, impegno, responsabilità a persone che devono in tutto o in gran parte abbandonare la loro attività professionale, non garantendo loro una remunerazione che consenta, se non di lucrare, almeno di contenere i danni? Altrimenti rischiamo di rivolgerci ad una platea di incapaci ed incompetenti, per i quali, allora sì, la remunerazione diventa una opportunità di comodo rifugio.
Un problema diverso riguarda il finanziamento pubblico dei partiti. Non credo alle vie di mezzo. Da una parte il finanziamento pubblico si presta a sprechi e utilizzi deviati o devianti; dall’altra parte l’autofinanziamento espone la politica alla indebita pressione di lobby e interessi privati forti. Dal momento che la prima forma non esclude automaticamente e categoricamente la seconda, tanto varrebbe puntare sull’autofinanziamento instaurando efficaci meccanismi di tracciabilità dei fondi che viaggiano da una Fondazione all’altra, da un giornale di partito o di area all’altro, in un mix in cui si rischia di non capire chi dà e chi riceve, chi manovra e chi fa politica, chi vuole sostenere certi partiti e chi vuole lucrare certe protezioni e certi favoritismi, anticamera della corruzione.
Entriamo nella zona grigia in cui il confine tra politica e affari non si coglie. Tutto ciò fa molto più paura degli stipendi e dei vitalizi dei parlamentari a cui torno, in conclusione, per riaffermare come sia controproducente e squalificante la gara populistica per l’abbattimento degli emolumenti ai politici, fino ad arrivare a chi provocatoriamente li vuole eliminare come nella Costituzione cubana (diventiamo cinesi, quando i cinesi si stanno convertendo ai meccanismi occidentali? Magari diamo loro anche una tuta di stoffa grezza, meglio se grigia…), a chi gioca a fare il primo della classe rinunciando a parte dello stipendio da devolvere a fini di pubblica utilità (devono rimanere ammirevoli scelte personali che non fanno regola), a chi vuole istituire un redditometro per i parlamentari (mi sembra che i meccanismi di trasparenza siano più che sufficienti, anche se non coprono gli introiti illegali), a chi magari se ne frega delle remunerazioni ufficiali con la riserva mentale di arrangiarsi in altro modo (vogliamo continuare a farne la migliore “qualità” del nostro popolo e dei suoi rappresentanti?). Tutte scorciatoie. Cerchiamo la strada principale che rivaluti il ruolo della politica. Ce n’è bisogno. Di buona politica, certo.