Una canzone di parole senza musica

Il piano nazista di persecuzione e di sterminio del popolo ebraico è stato “un abominio condotto dal regime hitleriano”, con “la complicità” in Italia “anche di quello fascista”. Giorgia Meloni, nel suo terzo giorno della Memoria da premier, non esita a puntare il dito contro gli orrori che si consumarono durante il ventennio, con “l’infamia delle leggi razziali e il coinvolgimento nei rastrellamenti e nelle deportazioni”. Una condanna dura ed esplicita che ribadisce e rafforza quella del 2024 (quando puntò il dito contro la “malvagità del disegno criminale nazifascista”) a cui segue un annuncio: è in arrivo la nuova strategia nazionale per la lotta all’antisemitismo, “un documento articolato e di scenario che fissa obiettivi e azioni concrete per contrastare un fenomeno abietto che – afferma – non ha diritto di cittadinanza nelle nostre società”. (Ansa.it)

Ha fatto un certo scalpore la secca condanna contenuta nella dichiarazione della premier, soprattutto per l’accenno alla complicità italiana del fascismo. È doverosa innanzitutto una precisazione storico-ideologica: il fascismo non è stato solo complice del nazismo per quanto concerne la persecuzione degli ebrei, ma ne è stato l’ispiratore e l’inevitabile alleato.

Ricordo i rari colloqui tra i miei genitori in materia politica: tra mio padre, antifascista a livello culturale prima che a livello politico, e mia madre, donna pragmatica, generosa all’inverosimile, tollerante con tutti. «Al Duce, diceva mia madre con una certa simpatica superficialità, l’à fat anca dil cozi giusti…». «Lasemma stär, rispondeva mio padre dall’alto del suo antifascismo, quand la pianta l’é maläda in-t-il ravizi a ghé pòch da fär…». Poi si lasciava andare a sintetizzare la parabola storica di Benito Mussolini, usando questa colorita immagine: «L’ à pisè cóntra vént…».

È tuttora in vigore la narrazione storica che assolve il fascismo dal suo peccato originale, condannandolo soltanto per la deriva filonazista e bellicista del suo ultimo periodo. È un processo ideologicamente pericoloso e fuorviante. Giorgia Meloni non può andare oltre questa analisi di comodo pena la disintegrazione culturale della sua politica, del suo partito e del suo consenso.

Ma c’è di più, molto di più. Questa condanna meloniana arriva proprio nel momento in cui la sua azione politica evidenzia, oserei dire clamorosamente, chiare ed inaccettabili scelte filo-trumpiane, anti-migratorie e simili, che, se non sono zuppa, sono pan bagnato rispetto al nazionalismo, al razzismo e al populismo di stampo più o meno nazifascista.

Come può Giorgia Meloni applaudire il discorso di Donald Trump, essere amica di Elon Musk, puntare testardamente alla deportazione degli immigrati in Albania, per poi tentare di sciorinare condanne contro fenomeni storici che hanno molti punti in comune con l’attualità del suo campo ideologico, culturale e politico.

Generalmente si dice come, per essere credibili, sia necessario passare dalle parole ai fatti: Giorgia Meloni passa dai fatti alle parole entrando comunque in evidenti contraddizioni. La politica, oggi più che mai non ha bisogno di parole ma di fatti o, quanto meno, di parole inequivocabilmente nuove e propedeutiche a scelte di giustizia e democrazia.

Quindi mi interessa poco la strumentale conversione meloniana, che puzza tanto di contrappeso mediatico rispetto alle sue esagerate ed avventate scorribande in politica internazionale.  Preferirei che scegliesse apertamente e concretamente di aderire a quanto scrive Enrico Giovannini su “Avvenire”.

Dobbiamo essere non soltanto fieri della nostra democrazia “europea” ma anche pronti a difenderla se dovesse finire sotto attacco, anche solo in uno dei Paesi dell’Unione.
Una tale considerazione non vale unicamente per la statistica ma per la democrazia, la società, l’economia e i nostri valori. Richiamando il famoso titolo de il manifesto del 28 giugno 1983 “Non moriremo democristiani” (subito dopo le elezioni politiche che avevano visto il Pci a un soffio dal sorpasso sulla Dc), non dobbiamo necessariamente scegliere tra “morire trumpiani” e “morire cinesi”, ma possiamo vivere e prosperare da europei, ricordando che il Trattato dell’Unione europea indica come suo fine quello di «promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli».

Questa è la strada per prendere le distanze dai nazifascismi di ieri, oggi e domani!