La separazione delle polemiche

Non riesco a districarmi nell’annoso dibattito, ora arrivato nelle aule parlamentari, tra le motivazioni favorevoli e contrarie alla separazione delle carriere dei magistrati. Mi sembrano pretestuose: quelle a favore partono da un presupposto pregiudizialmente punitivo della categoria, quelle contrarie altro non sono che un’aprioristica e acritica difesa dello status quo.

La magistratura deve essere rispettata nella sua autonomia, ma non per questo deve essere intoccabile, così come le riforme dell’ordinamento giudiziario non devono indebolire i giudici per renderli più esposti, direttamente o indirettamente, all’influenza del potere esecutivo.

Ho ascoltato e letto parecchio su questo tema anche se non riesco a cogliere la capitale importanza che ad esso viene attribuita. Forse non è il caso di intestardirsi in stucchevoli diatribe, anche se gli indirizzi generali dell’attuale governo creano non pochi sospetti sulle sue effettive intenzioni riformatrici. Riforme o voglia di silenziare il dissenso dalle piazze alle aule giudiziarie passando attraverso la sordina al giornalismo in generale e a quello d’inchiesta in particolare?

Dei quattro poteri su cui è sostanzialmente fondata la democrazia rischia di rimanere intatto, e forse addirittura pompato a dismisura, solo quello esecutivo: quello legislativo è condizionato o dribblato o bypassato dal governo, che, per urgenza o per accorciare la tempistica tende a svolgere un ruolo non suo; quello giudiziario è polemicamente sopportato e talora clamorosamente attaccato; quello mediatico è monopolizzato e strumentalizzato come non mai.

Scendendo dall’approccio ideologico a quello pragmatico, dalla polemica astratta all’analisi  concreta mi sento di fare sintesi riportando l’autorevole parere dell’avvocato, professore, ex senatore nonché amico Giorgio Pagliari che così sintetizza la questione: “La separazione delle carriere appare, nel quadro attuale, l’unico rimedio possibile per creare le condizioni di un’effettiva indipendenza tra la magistratura inquirente e la magistratura giudicante, così da assicurare un vaglio vero da parte di quest’ultima delle richieste dei PM, troppo spesso oggi senza un filtro vero”.