Il fronte delle opposizioni inchioda Giorgia Meloni alle dichiarazioni altisonanti sulla «lotta ai trafficanti di uomini in tutto il globo terracqueo» e il caso Almasri trasforma il proclama pronunciato all’indomani della tragedia di Cutro in un boomerang. Per la premier adesso sarà davvero complicato evitare di esporsi su quanto accaduto e la conferenza stampa convocata ieri dal campo progressista (mai così largo e unito da mesi) è un richiamo perentorio alla responsabilità di Palazzo Chigi. Del resto, il ritorno a casa del torturatore libico, specie dopo la richiesta di spiegazioni a Roma da parte della Corte penale internazionale (giunta anche questa ieri assieme a nuovi dettagli sulla vicenda), rischia di assestare un colpo fatale alla credibilità del Paese e questa volta, promettono i leader del centrosinistra, non basterà un intervento del plenipotenziario Alfredo Mantovano né tanto meno l’informativa del titolare degli Interni Matteo Piantedosi, confermata per la settimana prossima. Nel mirino c’è anche il guardasigilli Carlo Nordio: le opposizioni ne chiedono la testa, perché «nel migliore dei casi», sintetizza per tutti il leader di Si, Nicola Fratoianni, «fa una pessima figura» e ammesso e non concesso che non sapesse del mandato di arresto della Corte internazionale nei confronti di Almasri, il rilascio del capo della polizia giudiziaria libica resta una prova inconfutabile di inadeguatezza. (dal quotidiano “Avvenire” – Matteo Marcelli)
Dilettantismo? Difficile da appioppare ad un ministro come Carlo Nordio. Sbadataggine? Difficile da immaginare per una vicenda così delicata. Incoscienza? Difficile da immaginare per un governo guidato da una furbacchiona come Giorgia Meloni. E allora? Probabilmente c’è sotto qualcosa di losco: un debito di riconoscenza verso la Libia e i suoi torturatori, il timore di ritorsioni sul piano del contenimento dei migranti, la paura di ricatti e di verità inconfessabili, di tutto un po’. Bastone per gli scafisti e carota per i torturatori?
Fatto sta che l’Italia si dimostra inadempiente rispetto alle decisioni della Corte penale internazionale: evento molto negativo! Ci stiamo accodando alla mentalità trumpiana? Un gran brutto segnale! E ogni giorno ce n’è una fresca. Salvini grida all’attentato contro le Ferrovie dello Stato proprio mentre lo Stato italiano compie un attentato contro un’importante istituzione internazionale. Dove va l’Italia? Allo sbaraglio? O c’è qualcosa di molto più grave? Forse ci stiamo adeguando all’andazzo sovranista che si fa beffe delle istituzioni e delle entità sovranazionali per ripiegare sui propri miseri ed illusori tornaconti nazionali?
Da Bruxelles è giunta la richiesta degli indipendenti in quota dem, Marco Tarquinio e Cecilia Strada, per un’informativa del ministro Nordio: «Il rilascio di Almasri, deciso in modo cavilloso dal Ministero della Giustizia, lascia attoniti – hanno scritto in una nota – e getta una luce inquietante sulle ambigue relazioni tra governo italiano ed esponenti degli apparati libici fatte emergere dalle inchieste di giornalisti come l’inviato di Avvenire Nello Scavo». (così conclude il succitato pezzo di “Avvenire”)
Sul più bello il ministro dell’Interno Piantedosi si presenta al Senato dando una versione semplicistica della vicenda: non si è capito se sia stato mandato in avanscoperta solo per prendere tempo (ci sarà un’informativa di maggiore dettaglio), se avesse l’intenzione di sgravare di responsabilità il suo Ministero (“Vai avanti tu che mi vien da ridere”) scaricando la questione sul governo nel suo complesso, sul collega Nordio o addirittura sulla premier che se ne sta zitta, se non sapesse che pesci pigliare e buttasse fumo securitario in faccia al Parlamento e al Paese (gridare al lupo in un primo tempo funziona).
Il cittadino libico Najeem Osema Almasri Habish è stato rilasciato nella serata del 21 gennaio “per poi essere rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto.
Il governo ha dato la disponibilità a rendere un’informativa di maggiore dettaglio sul caso in questione. Sarà quella l’occasione utile per approfondire e riferire su tutti i passaggi della vicenda, ivi compresa la tempistica riguardante la richiesta, l’emissione e l’esecuzione del mandato di cattura internazionale, che è poi maturata al momento della presenza in Italia del cittadino libico”. Così il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi al question time al Senato sul caso Almasri.
“A seguito della mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma, considerato che il cittadino libico era ‘a piede libero‘ in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte Penale Internazionale, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato” ai sensi della legge. “Il provvedimento è stato notificato all’interessato al momento della scarcerazione e, nella serata del 21 gennaio, ha lasciato il territorio nazionale”. Per Piantedosi l’espulsione in quel momento “era la misura più appropriata, anche per la durata del divieto di reingresso”. (ANSA it)
Morale triviale della favola: la cacca più la giri e più puzza. Infatti, manco a dirlo, sta emergendo, seppure a livello di retroscena, uno squallido quadro di equilibri internazionali.
Una rete di traffici e posti di potere da tutelare. Il militare libico è oggi il nuovo “ras” che spadroneggia lungo tutta la ricca fascia costiera che va verso la Tunisia. Se fosse stato portato davanti alla Corte penale internazionale, all’Aja si sarebbe finalmente potuto aprire il primo processo sulla Libia, che per regolamento può essere celebrato solo in presenza dell’imputato. Ma a Tripoli ci sarebbe stato un altro vuoto di potere da riempire in fretta, e non è detto che Paesi come l’Italia abbiano pronto un nome per il dopo Almasri. Che con Roma sarà in debito per sempre. (dal quotidiano “Avvenire” – Nello Scavo)