I sospiri mattarelliani e i rutti meloniani

Il presidente della Repubblica allo scambio di auguri di Natale con le alte cariche dello Stato ha sottolineato come un segno di malessere sia la «radicalizzazione che pretende di semplificare escludendo l’ascolto, riducendo la complessità alle categorie di amico/nemico» in una «divaricazione incomponibile delle opinioni» che coinvolge anche temi che richiedono una visione condivisa.  (dal quotidiano “Avvenire”)

Mattarella invita ad uno stile sobrio di confronto e di dialogo. È verissimo, politicamente parlando, non si riesce più a ragionare: prendere o lasciare, chi non è con me è contro di me, chi non beve con me peste lo colga, molti nemici molto onore, l’insulto è sempre dietro l’angolo, la miglior difesa è l’attacco, chi grida più forte ha ragione, etc. etc.

Quando Giorgia Meloni veste i panni di leader di partito lo stile istituzionale cede il passo al piglio barricadero che ha accompagnato l’ascesa della premier a Palazzo Chigi. Lo dimostra l’intervento di chiusura di Atreju. Il bersaglio scelto per infiammare la platea del Circo massimo è la sinistra a cominciare dalla segretaria del Pd, ma non risparmia neanche Romano Prodi: «A Schlein si inceppa la lingua quando deve dire la parola Stellantis», accusa Meloni, che respinge al mittente anche le accuse di aver sforbiciato le risorse destinate alla sanità: «136 miliardi e mezzo di euro, è il fondo più alto mai stanziato… La calcolatrice serve a voi, con quale faccia e dignità parlate?». A Prodi invece rimprovera di averla accusata di sudditanza verso la Ue: «Quando ho letto questi improperi isterici di Prodi ho brindato alla mia salute. Siamo ancora dalla parte giusta della storia. Dalla svendita dell’Iri fino a come l’Italia è entrata nell’euro, all’accordo nel Wto, Prodi dimostra che di obbedienza se ne intende parecchio. Noi siamo all’opposto». E infine il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini: «La verità è che gli scioperi non li organizza per aiutare i lavoratori ma per aiutare la sinistra» e con il suo «incitamento alla rivolta sociale» ha utilizzato «toni che non hanno precedenti nella storia del sindacato italiano: se li avessimo utilizzati noi – ironizza Meloni – sarebbero arrivati i caschi blu dell’Onu». (dal quotidiano “Avvenire”)

Da ragazzo mi lasciavo andare a comportamenti inaccettabili: a tavola ad esempio mi divertivo ad emettere rutti clamorosi a cucina aperta. Mia madre mi rimproverava e io la lasciavo dire e poi riprendevo immediatamente a fare i miei porci comodi. Mio padre allora interveniva per rendere la scena più stringente e rivolgendosi a mia madre diceva: “At nin sit acòrta che al te tôz pral cul?”. Aveva mille ragioni, ma purtroppo la querelle rimaneva aperta.

Agli inviti del Capo dello Stato per un comportamento politico serio ed equilibrato, Giorgia Meloni risponde ruttando a più non posso, non solo ad Atreju, ma anche in Parlamento. Mattarella si accorgerà di essere preso per i fondelli? Penso di sì e allora si consolerà nelle braccia del suo vice, il presidente del Senato, quel distinto signore che si chiama Ignazio La Russa. Lui sì che sa dialogare e rispettare gli avversari…