Buttare il cuore di Gesù oltre gli ostacoli del mondo

Il Sinodo sulla sinodalità è finito. Oggi ci sarà la Messa finale in San Pietro. Ma ora comincia il suo cammino nelle comunità ecclesiali di tutto il mondo. Non ci sarà un’esortazione apostolica conclusiva. Il Papa ha annunciato questa sera, a conclusione dei lavori assembleari che vale in tutto e per tutto il documento votato nell’Aula Paolo VI. E già questa è una novità. L’altra è rappresentata dal fatto che continuerà il lavoro delle dieci commissioni su problemi particolari. E lo stesso Francesco continuerà ad ascoltare vescovi e Chiese su questi temi. «Alla luce di quanto emerso dal cammino sinodale – ha detto il Pontefice nel suo discorso finale lungamente applaudito – , ci sono e ci saranno decisioni da prendere». Ma «in questo tempo di guerre dobbiamo essere testimoni di pace, anche imparando a dare forma reale alla convivialità delle differenze», ha osservato. Per tale ragione – ha spiegato Francesco – non intendo pubblicare una esortazione apostolica. Basta quello che abbiamo approvato. Nel documento ci sono già indicazioni molto concrete che possono essere di guida per la missione delle Chiese, nei diversi continenti, nei diversi contesti: per questo lo metto subito a disposizione di tutti» in modo che «sia pubblicato».

 

Forse non è sbagliato cominciare a leggere la nuova enciclica di papa Francesco, Dilexit nos (ci ha amati) dalla fine. E precisamente dalla preghiera del Pontefice che troviamo nelle ultime righe del testo dedicato al culto del Sacro Cuore di Gesù. Perché nella preghiera che papa Bergoglio scrive c’è il nucleo essenziale del suo messaggio. “Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!”. (dal quotidiano “Avvenire” – Mimmo Muolo)

 

Ho volutamente accostato i primi commenti a due eventi, apparentemente indipendenti l’uno dall’altro, forse addirittura in contraddizione metodologica tra di essi, per tentare una brevissima riflessione su quanto possa fare la Chiesa per il disastroso mondo in cui viviamo e in cui rischiamo di asfissiare per mancanza di prospettive, per dirla con una parola grossa per mancanza di speranza.

Da qualsiasi parte ci si volga emergono lutti e tragedie apparentemente senza vie d’uscita: è in atto la normalizzazione della disperazione!? Mentre da una parte la sinodalità ecclesiale offre al mondo un discreto ma pressante metodo di dialogo per costruire qualcosa che vada oltre le tragicomiche architetture vigenti, dall’altra parte l’enciclica papale lo scuote dal torpore di una sorta di illuminismo riveduto e scorretto per proporgli la centralità di Gesù, che metta il suo e il nostro cuore al posto delle menti malate e fuorviate dall’imperante egoismo.

La Chiesa ha qualcosa da dire a se stessa e al mondo? Sembrerebbe proprio di sì, anche se il condizionale è d’obbligo non tanto per la debolezza delle proposte ma per l’indifferenza di chi le dovrebbe ascoltare. Ricordo l’entusiasmo con cui vennero accolte le encicliche “Pacem in terris” e “Populorum progressio”, emanate rispettivamente da Giovanni XXIII e Paolo VI: era un altro mondo, i problemi non mancavano, ma c’era il desiderio, soprattutto da parte delle giovani generazioni, di affrontarli in una logica diversa, oserei dire rivoluzionaria. Oggi a questo fermento innovativo si è sostituito un paludoso scetticismo, assai più pericoloso delle fughe in avanti delle teologie liberatorie.

Papa Francesco in tutto il suo pontificato non ha puntato tanto a riformare la Chiesa sul piano strutturale, ma a ricondurla nel solco evangelico senza se e senza ma, sostenendo che «parlare sempre dei poveri non è comunismo, è la bandiera del Vangelo». Probabilmente con l’enciclica “Dilexit nos” vuole aggiungere che nel cuore di Gesù ci siamo tutti solo se ammettiamo la nostra povertà nel combattere le povertà. La povertà elevata al quadrato può essere contenuta e risolta solo in un cuore elevato all’infinito (la matematica non è mai stata il mio forte, infatti la uso soltanto per rendere l’idea…).

Apprezzabile la decisione di lasciare sostanzialmente aperto il Sinodo, passando la parola alle comunità ecclesiali, che nel cuore di Gesù non trovano soltanto lo sbocco compiaciuto di un devozionismo spinto, ma il kit del cristiano che intende essere nel mondo ma non del mondo.

In conclusione, a prima vista e riservandomi una lettura attenta ed approfondita del documento sinodale e dell’enciclica papale, colgo l’umile ma forte intenzione di allargare la mente a tutto lo scenario dell’umanità dopo avere aperto il cuore (quello di Cristo che tutti accoglie) alle immani sofferenze dell’umanità stessa: il cuore di Gesù è infatti ben più largo ed esauriente delle nostre necessarie ma penose elucubrazioni geopolitiche e delle nostre inevitabili ma inconcludenti conflittualità sociali.

Il cardinal Martini in aperto dialogo con Eugenio Scalfari affermava: «La storia del mondo non sarebbe quella che è se la speranza non alimentasse i nostri sforzi e la carità non illuminasse la nostra vita quotidiana. La Risurrezione dello Spirito è la fiamma che spinge le ruote del mondo. Lei può immaginare un mondo senza carità e senza speranza?».