Non si vive di nostalgia, ma i ricordi possono aiutare

Dc senza eredi 80 anni dopo: storici a consulto sull’«anomalia italiana». Pienone al teatro Quirino per l’evento promosso dal comitato presieduto da Zecchino, con Della Loggia, Giovagnoli, Melloni, Schiavone e Bonini. Paolo Mieli: «Perché accade solo da noi?» (dal quotidiano “Avvenire”)

Ho letto, non so se con più sentito interesse o stucchevole nostalgia, il resoconto della rivisitazione storica sul ruolo fondamentale svolto dalla Democrazia Cristiana nella vita politica del Paese. I partecipanti si sono chiesti il perché di questa anomala e impietosa fine di un’esperienza grandiosa, che ha segnato per alcuni decenni la politica italiana. Il perché, a mio modesto giudizio, è racchiuso nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro: si era aperta, dopo il periodo della storica contrapposizione tra democristiani e comunisti, una difficile fase collaborativa, forse impropriamente chiamata compromesso storico, atta a sdoganare definitivamente il Pci in senso democratico ed occidentale e a portare la Dc in una dimensione politicamente e socialmente evolutiva.

Chi ha rapito e ucciso Aldo Moro ha voluto mettere in crisi, per delinquenziale paura dei comunisti (vedi Usa) o per fanatica allergia alla conversione democratica dei comunisti (vedi Br), la storia del Paese, ricacciando la Dc verso il suicidio assistito dal craxismo dilagante ed il Pci verso la subordinazione alle smanie dell’onnicomprensivo potere socialista. In quel momento storico è finita la Dc ed è finito il Pci, lasciando il posto ad un imprecisato accordo di potere altalenante fra il Caf centralista (Craxi, Andreotti e Forlani) e il frontismo periferico (Pci-Psi) riveduto e scorretto.

Ne è scaturita una deriva dorotea cha ha preso il posto di quella che, nella visione morotea, doveva essere la terza fase, vale a dire un bipartitismo, che, partendo dalle omogenee fedeltà democratiche e aperture sociali, avrebbe portato il Pci e la Dc ha confrontarsi sui programmi e a presentarsi agli elettori in base ai programmi stessi. Una politica seria, come serie erano le tradizioni e le culture di riferimento.

Più volte mi sono detto che Bettino Craxi, se fosse vissuto Aldo Moro, avrebbe avuto vita politica breve e marginale. Invece… Tutto il resto viene di conseguenza. Anche il colpo di reni tentato dai democristiani autentici di ripartire daccapo, vale a dire dal partito popolare non sortì effetti interessanti: la storia non può tornare indietro.

Il berlusconismo intese ripristinare in chiave affaristico-mediatica la democrazia cristiana riveduta e scorretta: moliti ci cascarono per interesse, per arrivismo, per convenienza, magari anche per ingenuità. L’anticomunismo di pura facciata riprese a funzionare. Di converso a sinistra si pensò di poter contrastare e vincere il berlusconismo con formule e aggregazioni larghe ma sostanzialmente inconcludenti.

Fino ad arrivare a riprendere in modo frettoloso e superficiale una sorta di compromesso storico messo alla base del Partito democratico: siamo ancora impiccati a questo albero che non riesce a produrre frutti decisamente buoni, basti pensare a dove è finita la politica italiana.

Non è questione di nostalgia. È solo doveroso omaggio alla memoria storica da cui abbiamo ancora tanto da imparare. Voglio fare quindi un tuffo del tutto personale in questi ricordi, chiamandoli anche per nome e cognome.

Torno, a metà degli anni sessanta, sui banchi di scuola. Con un mio compagno di classe, Mario Tanzi, l’amicizia andava oltre il sano cameratismo scolastico per allargarsi al dialogo umano, culturale e politico. Io cattolico e democristiano, lui non cattolico e comunista: di fronte alla realtà incandescente di quegli anni riuscivamo, pur partendo da culture e sensibilità diverse, a trovare un fervido terreno d’incontro, un punto di convergenza in base ai valori che ci ispiravano (la giustizia sociale, l’attenzione alle classi popolari, la laicità della politica, etc.). Ci scambiavamo esperienze, idee, ansie, preoccupazioni, dubbi e certezze. Eravamo in anticipo di dieci anni rispetto al compromesso storico. Ci ritrovammo dopo alcuni anni, impegnati entrambi nel movimento cooperativo, lui quello di matrice socialista, io quello di ispirazione cristiana: il dialogo riprendeva con una immediatezza sorprendente e con affascinante fluidità. Poi arrivammo quasi a lavorare insieme a servizio delle cooperative, prescindendo dagli schemi, che, nel nostro piccolo, eravamo stati capaci di superare coraggiosamente e, oserei dire, pionieristicamente. Quando si costituì il partito democratico andai a quelle esperienze di quarant’anni prima e mi dissi: per me e Tanzi la fusione arrivava in ritardo, meglio tardi che mai!

Però purtroppo non ha funzionato e non sta funzionando. Il Pd sta diventando un’altra cosa, che faccio molta fatica a capire e ad accettare. I cattolici sbandano in continuazione alla ricerca del tempo perduto e mi auguro che l’evento da cui ho preso le mosse non sia l’ennesimo tentativo di ridare vita ad un cadavere ambulante, quella Dc, morta e sepolta assieme ad Aldo Moro e di cui l’ultimo dei giusti superstiti è Sergio Mattarella.