Dopo la “tregua olimpica” vera o presunta della politica francese, a Parigi torna a animarsi la battaglia istituzionale, ed è nuovamente ripartito il braccio di ferro tra i partiti transalpini e Emmanuel Macron. Il presidente sta lavorando per isolare politicamente il Nuovo Fronte Popolare, primo ma senza la maggioranza assoluta al voto del 30 giugno e 7 luglio scorso che ha ridefinito l’Assemblea Nazionale. Ma ad oggi il tentativo di Macron sembra risolversi in un boomerang.
Nella giornata di lunedì 26 agosto Macron ha formalmente rifiutato di concedere l’incarico di primo ministro alla candidata di bandiera della coalizione di sinistra, Lucie Castets, economista dell’amministrazione municipale di Parigi vicina al Partito Socialista. E questo, nei limiti delle prerogative presidenziali, non è di per sé qualcosa di inatteso. Più complicata, però, la contromossa del presidente, che ha destato polemiche: Macron ha invitato a consultazioni i membri di Ensemble, la sua coalizione presidenziale imperniata sul suo partito centrista Renaissance, assieme a una sola parte del Nfp. Convocati per martedì 27 all’Eliseo i socialisti, i Verdi e il Partito Comunista di Francia. Esclusa, invece, la prima forza del Nfp, La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.
Una mossa che nell’ottica del presidente avrebbe dovuto fornire la base per una negoziazione volta a creare una coalizione. Con le sinistre attratte dall’ipotesi della stanza dei bottoni e gli alleati del presidente, come il partito Horizons dell’ex premier Edouard Philippe, chiamati a far da pontieri col centro-destra per chiudere il cerchio. Mossa che nei fatti, però, si è rivelata un autogol. La sinistra ha rifiutato la mossa di Macron, accusato di confondere la carica di presidente con quella di leader di coalizione.
“La Repubblica è nata dal rifiuto del potere personale”, ha affondato il segretario socialista Olivier Faure. Il leader del Pcf, Fabien Roussel, ha rincarato la dose: “Si apre una crisi molto grave per il Paese” dopo la scelta di Macron. Parole che hanno ricompattato la coalizione attorno al rifiuto del veto su Melenchon, per il coordinatore del cui partito, Manuel Bompard, Macron avrebbe addirittura sfiorato la deriva autoritaria: “In nessuna democrazia al mondo esiste il diritto di veto del presidente della Repubblica sui risultati delle elezioni”, ha notato. (Inside Over – Andrea Muratore)
Non conosco il sistema partitico della Francia e quindi faccio una certa fatica a capire cosa stia succedendo. Mi ero sinceramente compiaciuto dell’esito elettorale conseguente alla coraggiosa alleanza resistenziale contro l’avanzata della destra che sembrava ormai a due passi dal potere.
Non avevo però fatto i conti con Macron: dopo aver convocato le elezioni e averle perse ottenendo però il blocco della destra, ha cominciato a fare il pesce in barile e sta tuttora continuando a giocare una partita molto equivoca e pericolosa per la democrazia, al limite dei poteri costituzionali che detiene.
Macron teme di varare un equilibrio politico nuovo che potrebbe finire col metterlo alle corde costringendolo alle dimissioni ed allora non trova di meglio che fare il prestigiatore: una deriva presidenziale alla faccia del parlamento e degli elettori. Se questo è il presidenzialismo o il semi-presidenzialismo, come dir si voglia, mi tengo fino alla morte il parlamentarismo con tutti i suoi difetti.
Sul piano politico non vedo niente di serio se non la volontà macroniana di protagonismo a tutti i costi: è vero che i partiti non sono certamente all’altezza della situazione, ma di qui a bypassarli con trucchi e tatticismi di bassa lega…
Sconfitto alle elezioni europee, Macron ha tentato il colpaccio di aprire quella porta su cui tutti spingevano, sperando di salvarsi, facendo miseramente cadere gli oppositori: non è andata così e allora il sistema francese è diventato un susseguirsi di porte che vengono aperte improvvisamente per fare un gran casino su cui si potrebbe ergere il pur penoso salvatore della patria. Un gioco al massacro le cui conseguenze non si fermeranno alla Francia. E pensare che avrebbe potuto nascere un laboratorio compromissorio di un certo livello, tale da ispirare anche la politica italiana. Una volta tanto che i francesi non avevano fatto gli “stronzoni”, il ruolo di stronzo se lo è accaparrato tutto il presidente. In buona sostanza, quando si dice i piccoli…, mentre noi in Italia abbiamo in Giorgia Meloni la caricatura del presidente del Consiglio, i francesi in Emanuel Macron hanno la caricatura del presidente della Repubblica: per ora in materia di macchiette istituzionali ci battono, ma col premierato siamo sulla buona strada per sorpassarli.