La presuntuosa fretta della (in)giustizia

Ci avevano sperato fino all’ultimo, nella gabbia degli imputati della Corte d’appello di Brescia, Olindo Romano e Rosa Bazzi. Ma per loro non si riapriranno le porte del carcere: dopo 3 udienze e cinque ore di camera di consiglio, resta quella parola già scandita davanti ad altri tribunali. Ergastolo. La loro istanza di revisione della condanna a vita per la strage di Erba – quattro vittime tra cui un bambino di due anni e una quinta salva miracolosamente, l’11 dicembre del 2006 – è stata dichiara dai giudici della Corte d’Appello della città lombarda “inammissibile”. Il che significa che rimangono, appunto, condannati all’ergastolo, come stabilito anche dalla Cassazione. E inammissibile è anche l’istanza, controversa, presentata dal sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser, che per questa sua iniziativa presa personalmente senza l’avallo del suo ufficio, è anche stato sanzionato dal Csm. Il suo commento è tranchant. “Non mi riconosco più in una magistratura, a cui ho dedicato 40 anni della mia vita, che ha perso il metodo del dubbio. Che cosa costava assumere delle prove e decidere?”. (ANSA.it)

 

Il tribunale del Riesame di Genova ha rigettato l’istanza di revoca dei domiciliari per il governatore Giovanni Toti arrestato lo scorso 7 maggio per corruzione in un’inchiesta che ha segnato un terremoto nella regione ligure. Il difensore Stefano Savi aveva chiesto per Toti la revoca della misura o in subordine la conversione nell’obbligo di dimora ad Ameglia (dove si trova ai domiciliari) o di divieto di dimora a Genova. Richieste a cui la procura aveva dato parere negativo e ora arriva anche il no dei giudici. In uno dei passaggi dei giudici si legge che è nelle scelte tecniche che potrebbero favorire interessi di parte e non nell’attività strettamente politica che si “inserisce la persistente pericolosità di Toti, al quale – non a caso – viene contestato di avere scambiato utilità economiche con l’adozione di specifici provvedimenti amministrativi e non certo di avere adottato scelte ‘politiche’ nella sua veste di presidente della Regione”.  (adnkronos)

 

Due casi giudiziari molto diversi che tuttavia mi inducono ad un’unica riflessione/critica sull’operato della Magistratura. Penso sia possibile rispettare le decisioni dei giudici pur criticandole più sul piano umano che su quello squisitamente giudiziario. Se è vero che sono un incompetente in materia giuridica, è pur vero che il cuore mi batte nel petto, magari a dispetto del cervello.

Qualche serio dubbio rimane in ordine alla colpevolezza di Olindo Romano e Rosa Bazzi a prescindere dal solito can-can mediatico costruito intorno alla vicenda, che alla fine si è ritorto contro gli imputati stessi, trasformando la questione in una sorta di paradossale sfida tra le aule giudiziarie e gli studi televisivi.

Sono perfettamente d’accordo col sostituto procuratore generale di Milano: “Che cosa costava assumere delle prove e decidere?”. Spero che lo scopo non sia stato quello di risparmiare tempo: cosa volete che sia concedere una revisione di un processo rispetto ai tempi biblici della giustizia.  Mi auguro, come detto sopra, che non sia stata la piccata risposta della magistratura ai dubbi sollevati sui teleschermi: in ballo non c’è una questione di principio, ma la vita delle vittime e dei colpevoli.

Vengo agli arresti domiciliari per Giovanni Toti. Ma quale pericolosità volete che abbia in questo momento, dopo che le sue vicende sono state messe in modo così chiaro e circostanziato nel mirino della Magistratura: il problema sarà più di diritto che di fatto, vale a dire decidere se il suo comportamento sia coperto dalla pubblicizzazione dei fondi ottenuti oppure se vada ben oltre un interesse politico per scadere nell’affarismo vero e proprio (il confine è labile, ma non può essere attualmente disturbato da un Toti rimesso in libertà in attesa di giudizio).

Morale della favola: in entrambi i casi presi in esame vedo affiorare una sorta di accanimento giudiziario, di presuntuosa rivendicazione di infallibilità, un battere il pugno sul tavolo della giustizia piuttosto che preoccuparsi del fare giustizia, un trattare la persona giudicata o giudicanda come una pratica da assolvere in modo sbrigativo.

E poi, anche i giudici dovrebbero avere un cuore ed essere sempre assillati dal dubbio: hanno in mano la vita di loro simili e non lo possono dimenticare, a costo di indugiare ed esagerare nel sacrosanto rispetto delle persone che passano sotto le loro sacrosante grinfie.