Il suicidio assistito dal super-atlantismo

Rischiando di rimanere isolata in Europa, stretta nella morsa dell’Ursula bis e del sorpasso da parte dei Patrioti di Orban e Salvini, Giorgia Meloni si gioca la carta dell’atlantismo convinto e dei suoi ottimi rapporti con Joe Biden sul palcoscenico internazionale del summit Nato di Washington. A margine del vertice, la premier ha ribadito che l’Italia «terrà fede ai suoi impegni» di spendere il 2% del Pil per la difesa: «Ovviamente con i tempi e le possibilità che abbiamo» e considerando anche «l’impegno complessivo del nostro Paese» nell’Alleanza nordatlantica, dove siamo «tra i maggiori contributori di personale in quasi tutte le missioni e le operazioni di pace, perché il nostro know how è molto richiesto». (dal quotidiano “Avvenire”)

Forse pretendo troppo, ma mi permetto di non essere d’accordo con questo atlantismo acritico, bellicista e di maniera. Quando Giorgia Meloni venne nominata premier in molti tremavano all’idea che potesse sgarrare rispetto agli impegni europei ed internazionali dell’Italia. Oggi paradossalmente tremo per un suo eccesso colposo in pur legittimo atlantismo oltre che in strumentale europeismo.

Mi si agghiaccia il sangue nel pensare alle enormi risorse investite (?) in armamenti: abbiamo pochi fondi disponibili per andare incontro ai bisogni essenziali della gente (sanità, istruzione, assistenza, etc. etc.) e stanziamo cifre da capogiro per imprigionare la gente nella logica della guerra.

Alla retorica del “si vis pacem para bellum” contrappongo quella del “si vis pacem para pacem”.  Capisco il paradosso nel pretendere di parlare di pace al summit di un organismo internazionale di difesa militare, ma occorrerebbe il coraggio di occuparsi di una seppur bilanciata ed equilibrata diminuzione delle spese militari, spostando i relativi fondi sugli aiuti umanitari in funzione della prevenzione della guerra.

È oltre modo inaccettabile l’astuzia (?) di deviare l’attenzione dalle inadeguatezze governative nascondendole dietro un “super-atlantismo”, che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. È storia vecchia quella di fare, preparare e parlare di guerre quando le difficoltà interne al proprio Paese rischiano di mettere in discussione il governo.

Non voglio buttare addosso a Meloni una croce che riguarda tutti i governi aderenti alla Nato ed in particolare quelli aderenti alla Ue. Tutti al vertice Nato hanno da nascondere parecchi errori ed omissioni. Biden cerca l’impossibile rilancio della sua candidatura, Macron cerca la quadratura del cerchio dei nuovi equilibri parlamentari francesi, Starmer vuole certificare la sua vocazione guerrafondaia che fa a pugni con l’idealità del partito laburista, e via discorrendo.

Fatto sta che la Nato è l’unica istituzione che non soffre l’usura del tempo, anzi. L’Onu è fuori come un balcone, la Corte penale internazionale non conta un cazzo ma sentenzia bene, la Ue è in costante ricerca di un ruolo che non riesce a trovare. Sovranismi, populismi e patriottismi danno pseudo-idealità al mantenimento di uno status quo egoisticamente ed irrimediabilmente bellico.

Si può essere atlantisti con un minimo di capacità critica, si può essere europeisti con un minimo di spirito solidale, si può essere pacifisti con un minimo di pragmatismo, si può essere internazionalisti con un minimo di rispetto per l’Onu? Io credo di sì, anche se occorrerebbe la fantasia e il coraggio di un Giorgio La Pira, la saggezza politica di un Aldo Moro, l’umiltà internazionale di un Alcide De Gasperi. Lasciamoci almeno insegnare qualcosa dalla storia di questi uomini. Riscopriamo il neo-atlantismo, il vero europeismo, la lezione diplomatica e pacifica di tanti testimoni. Altro che passerelle Nato…