A scuola di democrazia, la ficcante lezione di Mattarella

Ho ascoltato con grande attenzione e particolare soddisfazione l’intervento del Presidente Sergio Mattarella alla inaugurazione della 50.ma Settimana Sociale. L’ho letto e riletto diverse volte anche con l’intenzione di trovare nel concetto di democrazia così come autorevolmente sviluppato dal Capo dello Stato utili indicazioni per interpretare criticamente l’attuale stato della politica nel nostro Paese e nel contesto europeo e mondiale.

Ho scelto un angolo visuale limitato, trascurando i tratti storici, scientifici, etici e cattolici per una sorta di impellente desiderio di politicizzare immediatamente la preziosissima relazione, individuando alcuni passaggi che riporto di seguito, permettendomi, strada facendo, di aggiungere alcune considerazioni personali. Spero di non cadere in forzature e strumentalizzazioni, rimanendo rigorosamente agganciato all’esame obiettivo ma disincantato che Mattarella ha effettuato. A scanso di equivoci consiglio comunque a tutti una lettura completa e approfondita di questa autentica e magistrale lezione di democrazia.

 

Occorre attenzione per evitare di commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare. Occorre, piuttosto, adoperarsi concretamente affinché ogni cittadino sia nelle condizioni di poter, appieno, prendere parte alla vita della Repubblica. I diritti si inverano attraverso l’esercizio democratico. Se questo si attenua, si riduce la garanzia della loro effettiva vigenza. Democrazie imperfette vulnerano le libertà: ove si manifesta una partecipazione elettorale modesta. Oppure ove il principio “un uomo-un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori. Ancor più le libertà risulterebbero vulnerate ipotizzando democrazie affievolite, depotenziate da tratti illiberali. Ci soccorre anche qui Bobbio quando ammonisce che non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”. Una democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà.

Non c’è posto per la rassegnazione all’astensionismo dilagante, che consegni ad una minoranza di elettori il diritto di insediare gli eletti da cui discenda una maggioranza di governo. Non è questione di legittimità, è problema di indebolimento della democrazia con tutte le conseguenze del caso. Non ha senso introdurre l’ansia per la governabilità a tutti i costi a scapito della rappresentatività e della difesa dei diritti dei cittadini.

 

La democrazia come forma di governo non basta a garantire in misura completa la tutela dei diritti e delle libertà: essa può essere distorta e violentata nella pretesa di beni superiori o utilità comuni. Il Novecento ce lo ricorda e ammonisce. Anche da questo si è fatta strada l’idea di una suprema Corte Costituzionale. Tosato contestò l’assunto di Rousseau, in base al quale la volontà generale non poteva trovare limiti di alcun genere nelle leggi, perché la volontà popolare poteva cambiare qualunque norma o regola. Lo fece con parole molto nette: “Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e più oppressiva che non la volontà di un principe”. Un fermo no, quindi, all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice.

Esercitare la democrazia a colpi di maggioranza, sbandierando ad ogni piè sospinto il consenso maggioritario (in realtà addirittura minoritario, considerata l’altissima incidenza degli astenuti) ottenuto nelle urne come illimitata pretesa a spadroneggiare rappresenta un rischio che l’Italia sta correndo con le riforme costituzionali ed istituzionali avviate: si pensi solo al premierato e all’autonomia regionale differenziata.

 

Se in passato la democrazia si è inverata negli Stati – spesso contrapposti e comunque con rigidi, insormontabili frontiere – oggi, proprio nel continente che ne è stato la culla, si avverte la necessità di costruire una solida sovranità europea che integri e conferisca sostanza concreta e non illusoria a quella degli Stati membri. Che consenta e rafforzi la sovranità del popolo disegnata dalle nostre Costituzioni ed espressa, a livello delle istituzioni comunitarie, nel Parlamento Europeo. Il percorso democratico, avviato in Europa dopo la sconfitta del nazismo e del fascismo, ha permesso di rafforzare le istituzioni dei Paesi membri e ampliare la protezione dei diritti dei cittadini, dando vita a quella architrave di pace che è stata prima la Comunità europea e ora è l’Unione. Una più efficace unità europea – più forte ed efficiente di quanto fin qui non siamo stati capaci di realizzare – è oggi condizione di salvaguardia e di progresso dei nostri ordinamenti di libertà, di uguaglianza, di solidarietà, di pace.

La democrazia va collocata in ambito europeo, superando ogni e qualsiasi antieuropeismo ed euroscetticismo. Mattarella ha ribadito il concetto di sovranità popolare europea quale imprescindibile presupposto per il perseguimento della pace e degli ideali consacrati nella nostra Carta Costituzionale. La vocazione pacifica e solidale dell’Italia e dell’Europa è irrinunciabile e va pazientemente e costantemente attuata, senza cedimento alcuno ai frettolosi bellicismi di maniera.

 

Vogliamo riprendere per un attimo la enciclica “Populorum progressio” di Paolo VI: «Essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, salute, una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori di ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini, godere di una maggiore istruzione, in una parola fare conoscere e avere di più per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero di essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio». Vi è qualcuno che potrebbe rifiutarsi di sottoscrivere queste indicazioni? Temo di sì, in realtà, ma nessuno avrebbe il coraggio di farlo apertamente.

Il progresso va visto con assoluta apertura ai bisogni delle persone dovunque viventi senza barriere di egoismo regionale e/o internazionale e con l’imperativo di gestire al meglio i flussi migratori, rifuggendo dalle subdole intenzioni di chiusura e di espulsione.

In tutto il discorso di Sergio Mattarella, al di là di parecchie esplicite posizioni e definizioni, si nota in filigrana l’apertura di un’alta ed ineccepibile presa di distanza dal modo di intendere la democrazia da parte dell’attuale maggioranza parlamentare e dai contenuti dell’azione del governo in carica. Nessuna polemica, ma alcuni incisivi appunti critici, che dovrebbero invitare alla riflessione, ma che invece stanno comportando solo fredde, ignoranti, sgarbate, sguaiate, infastidite, se non addirittura stizzite, reazioni. Tutto sommato è il segno che Mattarella ha colpito nel segno.

Anche le opposizioni dovrebbero trarre insegnamenti utili per partire non dal basso della polemica fine a se stessa, ma dall’alto della difesa dei principi su cui si basa la nostra democrazia: evoluzione sì, involuzione no!