Il caporalato è una forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera, specialmente agricola, attraverso intermediari (caporali) che assumono, per conto dell’imprenditore e percependo una tangente, operai giornalieri, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali.
Si tratta di un’autentica piaga esistente da sempre, che fa da corollario al sistema mafioso, sfruttando i soggetti più deboli e bisognosi di lavoro, fra i quali naturalmente sono compresi gli immigrati: queste persone sono trattate come oggetti da usare e poi, se del caso, da gettare nella spazzatura.
Non ci dobbiamo quindi scandalizzare: con ogni probabilità il recente caso dell’immigrato abbandonato come un cane dopo aver subito un gravissimo infortunio sul lavoro e morto molto probabilmente per omissione di soccorso, non è che la punta dell’iceberg.
Vengono tuttavia spontanee alcune riflessioni. La prima riguarda la farisaica diatriba sulla delinquenza messa in atto dagli immigrati fannulloni, ladri e stupratori, che nasconde tutto il nostro egoismo nel non volerli accogliere e addirittura la nostra volontà di sfruttarne le miserie per arricchirci illegalmente.
Mi pongo una paradossale e provocatoria domanda sul piano etico: è più grave la delinquenza dei poveri che attaccano i ricchi o quella dei ricchi che attaccano i poveri? Si dirà: la delinquenza è tale per tutti e verso tutti e da essa ci si deve difendere. D’accordo! Però, prima di criminalizzare tutti gli accattoni che disturbano la nostra quiete, dovremmo fare qualcosa di positivo verso questi soggetti e i loro bisogni, tra i quali quello del lavoro, possibilmente non in nero.
Mi pongo anche un’altra provocatoria domanda sul piano politico: l’atteggiamento della società verso gli immigrati è quello di respingerli direttamente (lasciandoli morire in mare) o indirettamente (dislocandoli nei lager libici o albanesi), di sfruttarne lo stato di indigenza, di trattarli “cme i rosp al sasädi”, di buttarli nelle braccia della criminalità organizzata? Non nascondiamoci dietro il “ditone” dell’Europa, perché l’Europa siamo noi e ogni Stato membro della Ue ha il suo modo di non accogliere gli immigrati.
Possibile che, dopo tanti anni, facendo finta di non capire che l’immigrazione non è un’emergenza ma un dato costitutivo della nostra vita sociale, non esista uno straccio di strategia per far fronte a questo fenomeno? Continuiamo a nasconderci dietro l’altro “ditone” dei numeri insopportabili, mentre in realtà la quantità degli immigrati sarebbe gestibilissima e potrebbe addirittura rappresentare una risorsa per le nostre società vecchie, sazie e disperate.
Quanto al caporalato, possibile che non si riesca a snidare questo andazzo criminale? Improvvisamente salta fuori il discorso dei controlli, che è l’ultimo anello della catena: scopriamo oggi l’acqua calda dell’insufficienza burocratica del sistema volto a combattere questa piaga. Il discorso è sempre quello della galera: galera per gli scafisti, galera per le loro vittime che se ne dovrebbero stare in patria a morir di fame, galera per gli sfruttatori e gli sfruttati che si “vendicano” a modo loro, galera per i delinquenti. In poche parole galera per tutti, salvo verificare che in carcere si muore come e forse più che per lavoro nero, che le carceri sono insufficienti a contenere tutta questa gente e che si rischia di fare la fine di quello storico e ingenuo derattizzatore che, dopo aver catturato un topo, non avendo il coraggio di ucciderlo, lo portava in aperta campagna e lo liberava. Tornato a casa ne trovava subito un altro e diceva tra il serio e il faceto: “Dio at maledisa, at si stè pu zvèlt che mi, at si rivè primma che mi…”.
Spero di non avere banalizzato un discorso gravissimo, ma illudersi di risolvere tutto dichiarando guerra agli sfruttatori mi sembra piuttosto velleitario: facciamo pure tutti i controlli del caso, potenziamo pure le strutture adatte allo scopo, incarceriamo i generali e i caporali, ma se non cambiamo mentalità, se non togliamo questi disgraziati dalle grinfie di un sistema malato, se non capiamo che la società non va difesa nei suoi ingiusti meccanismi ma cambiata e orientata verso la giustizia e la solidarietà, andremo solo a raccogliere quei rifiuti che non si possono riciclare e gridano vendetta al cospetto di Dio.