Stavolta Viktor Orbán non ha concesso il bis. Non è uscito dalla sala del Consiglio Europeo e non ha dato via libera alla revisione di medio termine del bilancio della Ue, bloccando tutto: se ne riparlerà nel 2024. E così, dopo aver in qualche modo concesso una gioia all’Ucraina del presidente Zelensky (sull’avvio dei negoziati di adesione all’Unione), ha dato un dispiacere altrettanto forte stoppando anche i 50 miliardi di euro di aiuti destinati a Kiev. Dopo una decisione storica, i leader europei sono tornati così ad incagliarsi nei meandri della (mancata) unanimità. E nella notte la prima lunga giornata della riunione europea si è chiusa con un nulla di fatto sull’altro piatto forte. (dal quotidiano “Avvenire”)
E allora la tanto sbandierata mediazione meloniana tra europeisti e sovranisti è durata l’espace d’un matin. Voler mettere d’accordo capra e cavoli è una gara dura anche per Giorgia Meloni. Alla lunga credo che questa contraddizione non farà bene né a lei né all’Italia. Ha allargato la foto storica ad Orban e l’ha esibita come un trofeo: bella roba!
L’adesione dell’Ucraina alla Ue rientra nella tattica bellica a favore di questa nazione aggredita dalla Russia: queste adesioni concluse sull’onda della necessità di ottenere aiuti non sono il massimo per il futuro strategico dell’Europa unita. Orban ne è la dimostrazione: quando ce n’è da prendere tutto va bene, quando bisogna darne cominciano le prese di distanza. Speriamo che non succeda così anche con l’Ucraina, che non scatti alla lunga la sindrome rancorosa del beneficiato.
Non vorrei che l’allargamento Ue fosse solo un modo per contrapporsi efficacemente all’invadenza russa e per battere colpi più consistenti sui tavoli internazionali. L’Unione europea dovrebbe essere una cosa seria, al momento attuale non la è, il brodo è piuttosto insipido, figuriamoci come sarà dopo averlo allungato. Bisognerebbe smetterla coi tatticismi e riscoprire lo spirito dei padri fondatori che continuano a scaravoltarsi nelle loro tombe.
Ho la netta impressione che nell’Europa veramente unita non ci creda nessuno: i Paesi forti la vogliono a loro uso e consumo; i Paesi ultimi arrivati hanno già incassato, fanno gli schizzinosi e praticano l’usa e getta; l’Italia, Paese fondatore ma debole, sta facendo, con gli attuali governanti, il pesce in barile, fingendo di non capire che senza Europa il nostro Paese sarebbe spacciato.
Mario Draghi non è certo un sognatore, non ha un concetto idealistico dell’Europa, ma almeno la realtà europea la conosce bene per averla praticata a tutti i livelli. Non so se abbia portato a casa risultati molto eclatanti e importanti, ma certamente ci aveva conquistato un ruolo politico di primo piano (e non è poco).
L’attuale governo italiano sta ripiegando sul piccolo cabotaggio, accontentandosi di galleggiare sul mare di promesse impossibili e di identità inguardabili. Dal “molti nemici molto onore” dell’ascendente storico siamo passati al “tutti amici nessun amico” dei discendenti anti-storici.
Però questa Meloni la sa lunga, la racconta bene, li mette tutti nel sacco: questa è la narrazione. I politici invecchiano, i consensi aumentano, e chissenefrega dei risultati. E poi guai a fare opposizione dura, guai a parlare di fascismo, guai a dire un po’ di verità che fa male. Come dice acutamente lo scrittore Antonio Scurati la destra italiana non può puntare all’egemonia culturale, non può coltivare il potere della cultura che non ha, può soltanto esercitare il potere sulla cultura. Glielo stiamo lasciando fare, consentendole di sottrarre tutto e tutti alla cultura. Anche l’Europa. Per l’Italia è il massimo della contraddizione.
C’è una simpatica barzelletta: una persona entra in un negozio molto ben equipaggiato e chiede una grossa quantità äd spirit äd contradisión. Il gestore tranquillizza il cliente e lo affida immediatamente alle cure della moglie specializzata in materia, chiamata immediatamente al bancone. Nella nostra attuale politica, come in quel negozio, non manca questo artificioso prodotto e c’è una specialista al bancone.