Il cardinale Becciu è stato condannato a 5 anni e sei mesi nell’ambito del processo che lo vedeva imputato in relazione alla compravendita del Palazzo di Sloane Avenue a Londra, per i soldi inviati alla diocesi di Ozieri come offerta per progetti caritativi e per la vicenda legata al tentativo di liberazione di una suora colombiana rapita in Mali e gestita attraverso la sedicente agente di intelligence Cecilia Marogna, a sua volta accusata di aver utilizzato i fondi messi a sua disposizione per spese personali, anziché per quello scopo. Condannata anche Marogna a 3 anni e 9 mesi. Al porporato anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e ottomila euro di multa. Per tutti i condannati (9 su 10, il solo don Mauro Carlino è stato completamente assolto) anche ingenti somme da risarcire alle parti civili (200 milioni in solido). L’avvocato Fabio Viglione, difensore di Becciu, ha preannunciato appello. Mentre il promotore di Giustizia, Alessandro Diddi si è detto “finalmente sereno, la sentenza ci dà ragione, non abbiamo mandato a giudizio innocenti”. Di segno opposto la reazione dei legali del cardinale: “‘è profonda amarezza, dopo 86 udienze, nel prendere atto che l’innocenza del cardinale Becciu non è stata proclamata dalla sentenza, nonostante tutte le accuse si siano rivelate completamente infondate. Le prove emerse nel processo, la genesi delle accuse al Cardinale, frutto di una dimostrata macchinazione ai suoi danni, e la Sua innocenza, ci consentono di guardare all’appello con immutata fiducia”. (dal quotidiano “Avvenire”)
Le sentenze dovrebbero fare giustizia e mettere a posto le cose, molto spesso invece, a prescindere dalla loro giustezza, toccano soltanto la punta dell’iceberg. È più che mai vero per il caso in questione, che, al di là delle responsabilità penali personali, riconosciute peraltro solo in un primo grado di giudizio, tocca un sistema di inquinamento affaristico nelle alte sfere vaticane. Come cattolico, pur non essendo senza peccato e non volendo quindi scagliare la prima pietra, mi sento toccato nel vivo: che la Chiesa consenta al proprio interno simili degenerazioni è un fatto comunque gravissimo.
Una sola volta, stando ai vangeli, Gesù si incavolò sul serio, quando “entrò nel tempio e ne cacciò fuori tutti quelli che vendevano e compravano; e rovesciò le tavole dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombi. E disse loro: “È scritto: ‘La mia casa sarà chiamata casa di preghiera’, ma voi ne fate ‘una spelonca di ladroni”.
Non mi è dato di sapere se papa Francesco si sia incavolato, presumo di sì. Però bisogna cambiare un sistema e voltare pagina. Al momento non vedo questa precisa e fattiva volontà. Le giustificazioni possono essere tante, ma nessuna sgombra il campo dalle ombre che sovrastano il Vaticano e le sue finanze più o meno allegre.
Non solo i mercanti sono entrati nel tempio, ma ho la netta sensazione che il tempio sia entrato nel mercato, anzi che si sia fatto mercato. Con quale autorevolezza la Chiesa predica povertà e chiede aiuto per i poveri se poi razzola malissimo in combutta coi ricchi, facendo incetta di danaro da immettere in operazioni speculative? Con quale credibilità la Chiesa fustiga il malcostume nella società e nella politica? Domande retoriche! Fanno sorridere tutti i rigorismi e i dogmatismi se incespicano sul più banale e grave dei peccati, quello dell’affarismo alla faccia del Vangelo.
«La Chiesa sempre – sempre! – subirà la tentazione della mondanità e la tentazione di un potere che non è il potere che Gesù Cristo vuole per lei. Quando la Chiesa entra in questo processo di degrado la fine è molto brutta. Molto brutta! I capi dei sacerdoti e gli scribi erano collegati con gli affaristi del tempio, ricevevano soldi da loro, c’era la “santa tangente”, erano attaccati ai soldi e veneravano questa “santa”. Ci farà bene chiedere la grazia di non entrare mai in questo processo di degrado verso la mondanità che ci porta all’attaccamento ai soldi e al potere» (Papa Francesco, omelia in Santa Marta).
Nella Chiesa ci sono arrampicatori e ce ne sono tanti…ma sarebbe meglio che andassero verso nord e facessero l’alpinismo! È più sano! Ma non venire in Chiesa per arrampicarti! E poi la tentazione dei soldi. Questa tentazione c’è stata fin dall’inizio. E abbiamo conosciuto tanti buoni cattolici, buoni cristiani, amici, benefattori della Chiesa, anche con onorificenze varie, tanti. Che poi si è scoperto che hanno fatto negozi un po’ oscuri. Erano veri affaristi e hanno fatto tanti soldi. Si presentavano come benefattori della Chiesa, ma prendevano tanti soldi e non sempre erano soldi puliti. Chiediamo al Signore la grazia di inviarci lo Spirito Santo per andare dietro di Lui con rettitudine d’intenzione: solo per Lui, senza vanità, senza voglia di potere e senza voglia di soldi» (papa Francesco omelia messa a Santa Marta del 05 maggio 2014).
Non pretendo che il Papa per fare pulizia usi una sferza di cordicelle e rovesci le scrivanie degli uffici vaticani, ma non bastano neanche le pur necessarie e ficcanti reprimende teoriche. Non basta soffrire, denunciare gli errori ed ammettere i peccati, nemmeno rimuovere certi personaggi, ci vuole qualcosa di più, che potrebbe partire non necessariamente solo dall’alto. Forse sarebbe opportuno che la gerarchia rispondesse del suo operato economico-finanziario non tanto al tribunale vaticano, ma al popolo di Dio: una benefica, evangelica e paradossale (?) gogna ecclesiale. La Chiesa è stata capace nei secoli di inquisire e condannare al rogo per molto meno, rimanendo attaccata comunque al potere. Si stacchi drasticamente dal potere e poi chiami a rispondere chi di dovere: lo stile sinodale applicato anche alle questioni finanziarie per impostare correttamente, controllare, censurare procedure e comportamenti per poi arrivare anche a colpire i responsabili delle deviazioni affaristiche.
A questo punto cedo la parola alla colorita ma puntuale verve polemica e provocatoria di mia sorella: aveva una sua paradossale e intrigante versione della morte di papa Luciani. Diceva: “Gli hanno fatto conoscere Paul Marcinkus e gli è dato un colpo…”.
ll cardinale Matteo Zuppi intervenendo all’affollato raduno del gruppo “Immìschiati”, che si è tenuto nel salone dell’Angelicum a Roma, ha detto: «La politica è la più alta forma di carità? Premetto che i papi sono tutti grandi, ci sono stati tutti mandati dal Signore. Questa frase di Paolo VI è vera – aggiunge -, ma deve fare i conti con le tante insidie che si porta dietro l’esercizio del potere, l’opportunismo, l’interesse personale, la vanagloria, quel dire “lei non sa chi sono io” mentre poi l’unico che non lo sa è proprio chi lo dice, tutti gli altri lo sanno benissimo». Perché il rischio, per chi fa politica, è proprio questo, dimenticarsi di chi si è. Il potere logora chi ce l’ha, inverte la massima andreottiana l’arcivescovo di Bologna. Bisogna aiutarsi – è il suggerimento per chi fa politica – ad avere sempre vicino qualcuno che ce lo ricordi, che ricordi le ragioni, perché è vero che la politica è una cosa alta, ma è anche alla portata di tutti. Anzi – ragiona Zuppi -, i politici più grandi sono stati quelli che sono rimasti loro stessi, senza arricchirsi, attenti a lasciare qualcosa di buono per chi veniva dopo».
Sacrosante parole, che devo però chiosare, ricorrendo ancora a mia sorella Lucia, che, nella sua implacabile schiettezza, non sopportava i grilloparlanteschi atteggiamenti della gerarchia cattolica nelle sue varie espressioni centrali e periferiche, volti ad esprimere forti e generiche critiche ai politici, con cui peraltro non era affatto tenera. Rinviava però al mittente parecchi rilievi: “Sarebbe molto meglio che si guardassero loro, che ne fanno di tutti i colori, anziché scandalizzarsi delle malefatte delle persone impegnate in politica”.