Le proiezioni contenute nella Nadef messa a punto dal governo italiano “rappresentano un significativo allentamento della politica fiscale rispetto agli obiettivi precedenti”. Il giudizio è espresso dall’agenzia di rating Fitch.
Poi c’è il richiamo del Fondo monetario internazionale sulla disciplina di bilancio: il debito/pil italiano cala troppo lentamente e il Governo deve quindi porsi obiettivi più ambiziosi sul fronte dell’aggiustamento dei conti, è l’invito di Vitor Gaspar, direttore del dipartimento di Bilancio del Fmi in conferenza stampa. “Nelle nostre ultime proiezioni abbiamo indicato che il debito pubblico calerà sì, ma molto lentamente e rimane ben al di sopra del livello prepandemico”, ha spiegato. La ricetta: riforme per accelerare la crescita e risparmi. “E’ estremamente importante diluire il debito in maniera graduale nel tempo – ha spiegato – ma è altrettanto importante che vi sia una maggiore ambizione in termini di aggiustamento dei conti e nel contesto di rafforzamento degli obiettivi che si pone il governo”.
Il susseguirsi di moniti coglie il ministro Giancarlo Giorgetti nel mezzo del passaggio in Parlamento della richiesta di scostamento di bilancio. “Le agenzie di rating fanno il loro mestiere e le rispetto. Quando leggeranno la legge di Bilancio capiranno che l’unica cosa che abbiamo fatto in extra deficit, a parte ovviamente l’Ucraina, a parte le cose che non dipendono da noi, è esattamente la conferma del taglio del cuneo contributivo”, ha detto Giorgetti rispondendo a una domanda sulle valutazioni di Fitch e sul Fmi. “Dopodiché è chiaro che chi fa il direttore del Fondo monetario internazionale fa un mestiere diverso da un politico”, ha aggiunto Giorgetti. “L’Fmi dà, diciamo, le direttive ai governi. Io ho a che fare con il Parlamento, e soprattutto con la gente e con le famiglie che stanno soffrendo”. (dal quotidiano “La Repubblica”)
Sinceramente parlando non mi sembra un granché la risposta del ministro Giorgetti. A sacrosante osservazioni critiche sulla politica di bilancio replica con una lapalissiana distinzione di ruoli. Sarebbe come se un cristiano, che si presentasse al confessionale e si sentisse invitato a cambiare vita in tutto o in parte pena il disastro, chiedesse al confessore di fare il mestiere di sacerdote, che a fare quello di peccatore ci penserebbe lui.
Il peccato di bilancio consiste nel non riuscire a trovare entrate adeguate al soddisfacimento di bisogni fondamentali dei cittadini. Possibile, ad esempio, che di fronte ad una sanità che sanguina non si riesca a fare niente di significativo perché mancano le risorse. Le risorse si devono trovare! È questione di volontà politica. E vanno trovate laddove esistono, vale a dire nella enorme massa di redditi che sfugge dolosamente alla tassazione. Non voglio essere banale, ma il nocciolo della questione è questo, al di là della parametrazione del deficit al pil, della auspicabile esclusione dal computo delle uscite per investimenti e della revisione dei patti a livello Ue.
Mio padre non era un economista, non era un esperto di politica, non era un uomo erudito e colto. Politicamente parlando aderiva al partito del buon senso, rifuggiva da ogni e qualsiasi faziosità, amava ragionare con la propria testa, sapeva ascoltare ma non rinunciava alle proprie profonde convinzioni mentre rispettava quelle altrui. Volete una estrema sintesi di tutto cio? Eccola! Rifletteva ad alta voce di fronte alle furbizie varie contro le casse pubbliche: «Se tutti i paghison col ch’l’è giust, as podriss där d’al polastor aj gat…».
E non mi si dica che aumentare le tasse fa male alla ripresa economica. Probabilmente fa più male tartassare la sanità pubblica inducendo larghe fasce di contribuenti a non consumare per risparmiare in vista di eventuali spese sanitarie non adeguatamente coperte. Le tasse vanno fatte pagare a chi non le paga senza aumentarle, direttamente o indirettamente, a chi già le paga. Anzi forse per certe fasce di contribuenti andrebbero diminuite e questo creerebbe domanda e darebbe impulso all’economia. O si mette mano al gravissimo problema dell’evasione fiscale o non si va da nessuna parte.
Il deficit è la differenza fra le entrate e le uscite; il debito, nella parte che preoccupa, è la somma dei deficit accumulati nel tempo, che viene coperta ricorrendo ai prestiti. Se viene meno la fiducia nella solvibilità dello Stato, i tassi di interesse sui prestiti aumentano, aumenta il deficit e aumenta il debito pubblico: è un gatto che si morde la coda. Il ministro Giorgetti veda di smettere di mordersi la coda e di cominciare ad affondare i denti nelle carni degli evasori.
Nella manovra di bilancio attualmente in discussione non si vede niente di simile: qualche illusionistico alleggerimento fiscale sui minori redditi da lavoro dipendente immediatamente azzerato dai crescenti costi sanitari da sostenere e niente più. Le agenzie di rating facciano il loro mestiere e forse lo stanno facendo con fin troppo garbo. Il problema sta nell’inerzia governativa che si somma alle crescenti difficoltà oggettive. Non so se siano più gravi gli effetti di guerre e pandemie o quelli provenienti dagli errori e dalle omissioni di coloro che non decidono e, se decidono, sbagliano le decisioni politiche.