I commentatori politici si stanno esercitando nella sistematica elaborazione dell’ovvio, vale a dire nell’osservazione del comportamento dei ladri di Pisa compartecipi dell’attuale governo di destra: da una parte i sassi in piccionaia lanciati da Matteo Salvini, impegnato in un vomitevole flirt con Marine Le Pen; dall’altra parte Giorgia Meloni intenta a nascondere le mani e a porgerle a Ursula von Der Leyen in un bilaterale e opportunistico fidanzamento. Il gioco è scopertamente orientato alle prossime elezioni europee a cui tutto può farsi risalire, mentre sui problemi veri, vale a dire immigrazione, economia, bilancio dello Stato, occupazione, e chi più ne ha più ne metta, si buttano cortine fumogene negli occhi degli italiani.
In buona sostanza fanno finta di litigare. Mio padre diceva con molta gustosa acutezza: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón». Non credo che possa finire così, sarebbe, in un certo senso, troppo bello: tutto è calcolato e nessuno può permettersi il lusso di violare il pur precario equilibrio tattico. Il balletto continuerà fino a quando la realtà dei fatti non li travolgerà, ma in quel caso c’è già pronta la scialuppa di salvataggio della globalizzazione: ci affogheremo nel mare grande del disordine mondiale, pronto ad inghiottire il disordine italiano.
Non illudiamoci quindi che le scaramucce tra Salvini e Meloni possano comportare qualche conseguenza di rilievo: trattasi di meri aggiustamenti. In campo sociale abbiamo il fenomeno della precarizzazione del lavoro, in campo politico abbiamo quello della stabilizzazione della precarietà. Manovre di depistaggio, gioco delle parti, tatticismi a go-go, finti litigi e intese obbligate.
Esiste invece un ben più sostanziale e sostanzioso conflitto, per certi versi addirittura inquietante, tra il governo Meloni e il presidente Mattarella. Non passa giorno senza che il Capo dello Stato non esprima giudizi e consigli in netta controtendenza rispetto alla linea dell’attuale governo. Il conflitto c’è, si vede e, se mi conforta che al più alto livello istituzionale la politica trovi una versione positiva e costruttiva, mi preoccupa il fatto di non capire fino a quando e come questa dicotomia potrà reggere, salvo scossoni imprevedibili anche se benefici.
In certi sistemi istituzionali si verifica una vera e palese divergenza tra capo dello Stato da una parte e governo-parlamento dall’altra risolta generalmente dai poteri esecutivi in capo alla presidenza. È il caso degli Usa e della Francia. In Italia il presidente della Repubblica non ha poteri di governo e quindi si deve limitare alla cosiddetta moral suasion, a parlare a nuora (cittadini più o meno aggregati) perché suocera (governo) intenda. Sergio Mattarella sta facendo la vera ed unica opposizione al governo Meloni: ci vuole un cieco per non vederlo. Agli italiani piace, ma forse non lo capiscono. Fino a quando?
Azzardo tre ipotesi. La prima riguarda lo svuotamento del ruolo presidenziale nell’ambito di una riformetta qualsiasi di carattere istituzionale, si chiami presidenzialismo o premierato. Mattarella verrebbe devitalizzato e tacitato per lasciare campo libero alla peggior politica. La seconda di segno opposto potrebbe vedere un sempre più accentuato interventismo presidenziale fino a mettere in crisi gli equilibri di governo ed assumere un ruolo protagonistico a livello europeo e occidentale. La terza, la più probabile considerata la debolezza parlamentare e la correttezza presidenziale, potrebbe trasformare Mattarella nel portavoce costituzionale della popolazione incapace di votare, di manifestare e di protestare. Una sorta di popolarismo mattarelliano a difesa della democrazia in bilico fra debolezze istituzionali e incapacità politiche. Un popolarismo che stoppa sul nascere ogni e qualsiasi velleità populista all’interno e sovranista all’estero.
A ben pensarci Sergio Mattarella, col governo Draghi e non solo, ho svolto un ruolo molto pregnante. Quando ha capito che i partiti si ribellavano e i cittadini non si rendevano conto, ha fatto le valige, salvo disfarle per cause di forza maggiore. Ora riprendere il filo del suo discorso non sarà facile anche se fortemente auspicabile. Che Dio lo conservi in salute, che la politica abbia il buongusto di fermarsi, che gli italiani passino nei suoi confronti da una generica anche se affettuosa ammirazione ad una convinta e fattiva attenzione.