Quando entrò in vigore l’iva, fece un certo scalpore l’introduzione di un documento strano, la cosiddetta autofattura, che in certi casi il compratore si vedeva costretto ad emettere al posto del venditore. Un mio simpatico interlocutore, impressionato da questa novità legislativa, quando mi poneva un problema in materia di imposta sul valore aggiunto, finiva col chiedermi in ogni caso: «Co’ disol dotôr, ag fämmiä n’autofatura?». Oggi, politicamente parlando, di fronte a qualsiasi problema potremmo chiederci: «Fämma ‘na comission parlamentärä?». Sta diventando un modo improprio e pericoloso per (s)valorizzare il lavoro del Parlamento, facendo come generalmente fa chi non è capace di fare il proprio mestiere e si dedica a quello altrui.
Il Presidente della Repubblica ha fatto sentire la sua autorevole voce: “Fare la parte propria. Vorrei declinare questo dovere in maniera completa e conseguente; aggiungendo: non pretendere di fare abusivamente la parte di altri. Ciascuno faccia il proprio mestiere – come si dice in linguaggio corrente – e cerchi di farlo bene. Auspico, come mi è avvenuto di suggerire in diverse occasioni, che questa stessa consapevolezza – cioè fare al meglio la propria parte – venga anzitutto avvertita da chi ha responsabilità istituzionali. Più volte è stato ricordato, da molte sedi, l’esigenza ineludibile che i vari organismi rispettino i confini delle proprie competenze e che, a livello istituzionale, ciascun potere dello Stato rispetti l’ambito di attribuzioni affidate agli altri poteri. Così quanto alla necessità che la Magistratura sia consapevole di esser chiamata – in piena autonomia e indipendenza – a operare e a giudicare secondo le norme di legge, interpretandole, anche, correttamente secondo Costituzione, e tenendo conto che le leggi le elabora e le delibera il Parlamento, perché soltanto al Parlamento – nella sua sovranità legislativa – è riservato questo compito dalla Costituzione. Allo stesso modo, ovviamente, va garantito il rispetto del ruolo della Magistratura nel giudicare, perché soltanto alla Magistratura questo compito è riservato dalla Costituzione. Iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre attività del Parlamento ai giudizi della Magistratura si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate. Non esiste un contropotere giudiziario del Parlamento, usato parallelamente o, peggio, in conflitto con l’azione della Magistratura. Così come non sono le Camere a poter verificare, valutare, giudicare se norme di legge – che il Parlamento stesso ha approvato – siano o meno conformi a Costituzione, perché questo compito è riservato, dall’art.134, in maniera esclusiva, alla Corte Costituzionale. Non può esistere una giustizia costituzionale politica. I ruoli non vanno confusi, anche a tutela dell’ambito di cui si è titolari. È una doverosa esigenza quella della normale e virtuosa logica della collaborazione istituzionale”.
Ci sono in ballo parecchie commissioni parlamentari d’inchiesta, dal dopo covid al reddito di cittadinanza, e con esse l’attuale maggioranza governativa tenta di rafforzare i propri poteri, facendo la voce grossa e spaventando chi ha fatto o sta facendo qualcosa che non le aggrada, mentre la minoranza tenta di delegare ad altri la propria funzione. Naturalmente le inchieste fanno comodo quando toccano le eventuali scorrettezze degli altri. A parte che la storia insegna come questo strumento abbia fatto quasi sempre cilecca, a parte che un suo abuso porta inevitabilmente a risultati molto scarsi per non dire inesistenti, a parte il rispetto per i poteri degli altri organi istituzionali, a parte il fatto che ripiegare sulle inchieste dimostra la debolezza o addirittura la mancanza di una cultura di governo, a parte tutto questo, mi viene spontanea una riflessione terra-terra: forse che il Parlamento sta tentando disperatamente di trovare qualcosa da fare per coprire la propria inettitudine a svolgere la funzione legislativa dal punto di vista qualitativo e quantitativo?
Per adesso se ne vanno in ferie, poi al rientro magari ci saranno le commissioni d’inchiesta e le leggi, giuste o sbagliate che siano, le lasciano fare al governo (salvo lamentarsi dell’invadenza governativa). E parlano di riforme costituzionali…ma fatemi il piacere…
Un simpatico amico di mio padre, soprannominato “Pépo spinasa”, al bar, quando si parlava di voglia di lavorare, diceva: «Par mì lavorär l’è un detersìv!». Voleva dire che per lui il lavoro non era considerato un peso, ma un “diversivo”. Credo che troppa gente, anche di alto livello culturale, stia cadendo nell’errore di considerare il lavoro e financo la politica come un diversivo. Ci sarebbe bisogno di detersivo, ma questo è un altro discorso.