Un tuffo nella sobrietà

Mio padre, da giovane poco aitante e molto ironizzante, quando andava in piscina, si divertiva a prendere in giro i bagnanti: andava sul più alto dei trampolini (col lavoro che faceva, l’imbianchino, non soffriva infatti di vertigini), si metteva in bella mostra con tutti gli esercizi ginnici preparatori, metteva i piedi sull’orlo del trampolino, aspettava qualche secondo per creare suspence e spazio acquatico sottostante, poi se ne scendeva piano piano dalla scaletta, lasciando tutti con un palmo di naso o, se volete, rinviandoli ad una successiva occasione.

In questi giorni la disciplina sportiva dei tuffi è salita al disonore della cronaca per effetto di un telecronista rai in vena di battute sconvenienti nei confronti delle tuffatrici che si esibivano. A microfoni aperti, semi-aperti o chiusi si è lasciato andare, pensando di essere al bar della piscina. Apriti cielo, come si suol dire, “ce n’è venuta una gamba…”.

Confesso ai miei pochi ma buoni lettori di essere sceso dal trampolino della nostra società, proprio come faceva mio padre, per buttare lì qualche riflessione: due considerazioni molto provocatorie e graffianti, una da apprendista sociologo, una, la seconda, da impenitente pseudo-psicologo-matusa.

Faccio una doverosa premessa sperando di non offendere o irritare nessuno, perché di paradossi si tratta. Gli psicologi hanno sempre ragione in quanto, per il dritto o per il rovescio, in un modo o nell’altro, in un senso o nel suo contrario, trovano sempre una spiegazione, piuttosto campata in aria, e nessuno è in grado di confutarla. I sociologi, come detto autorevolmente dai loro spietati scienziati dirimpettai, si dedicano, più o meno abilmente, alla elaborazione sistematica dell’ovvio, fanno una fotografia, più o meno nitida, della situazione.

Cominciamo dalla sociologia. La nostra società è “barizzata”, è diventata cioè un bar globale: tutto passa da questo vaglio triviale, non importa se di alto o basso livello; tutto, per parafrasare Marco Ronconi e la sua teologia dabar, è diventato “robadabar”. E allora è perfettamente inutile che ci scandalizziamo e crocifiggiamo lo sgangherato frequentatore di turno. Siamo tutti coinvolti, come oratori o come ascoltatori: le televisioni sono i bar del centro città, i social sono i bar di periferia, i giornali, cartacei oppure online, ci portano il bar in casa. E cosa si fa al bar? Si parla un po’ di tutto: di politica, di sport, di donne, di sesso, di preti e suore, etc. etc. Con quanta serietà lo lascio immaginare. Però stiamo ben attenti. Forse è meglio spettegolare al bar che discutere con la stucchevole puzza sotto il naso. Prima o poi al bar ci si deve andare, tanto vale frequentarlo con rassegnata assiduità, oserei dire con serietà.

Ora la sparo grossa, azzardando una metafora, giusto per rendere l’idea: meglio la pornografia conclamata di quella subdola, meglio gli sporcaccioni e le sporcaccione in prima persona, nudi come mamma li fece, piuttosto degli sporcaccioni in giacca e cravatta. Monsignor Riboldi, battagliero vescovo di Acerra, durante un convegno affermò di preferire la pornografia pura a certi spettacoli televisivi ammantati di perbenismo, meglio il qualunquismo verace di quello politicamente corretto. Quindi la rai non faccia scena: se dovesse fare veramente pulizia dovrebbe chiudere tutti i suoi bar e mandare a casa fior di baristi con stipendi da nababbi. Resterebbe poco o niente. Lasci quindi in pace il telecronista avventato, barzelletta più barzelletta meno…

Vengo alla psicologia dabar. Tutti lo pensano e nessuno lo dice per timore di passare da retrogrado e/o bigotto. Io non ho di questi ritegni, anche perché sono convintissimo di non essere un matusa, ma una persona che osa ispirarsi al buon senso. Se tutti tenessero un comportamento un po’ più controllato, nel parlare, negli atteggiamenti, nelle esibizioni, nel fare il proprio mestiere, nell’essere uomo e donna, etc. etc., avrebbero tutto da guadagnare in emancipazione, dignità, rispetto e convivenza. Non è questione di pudore, ma di buongusto. Non pretendo la castrazione chimica dei telecronisti e nemmeno che le tuffatrici si presentino col burkini.  Il discorso vale per le piscine, ma anche per tutti gli altri eventi, sportivi e non. Evitiamo di creare un clima per cui qualcuno, al bar della piscina o dello stadio, si possa sentire invogliato a fare battute sessiste. Che preoccupa infatti non è la battuta in sé, ma ciò che sta a monte e a valle, vale a dire un pericoloso clima scherzoso e giocoso in materia sessuale. Come si sa, certi giochi finiscono male e lo vediamo tutti i giorni.