Parlare di politica è un esercizio sempre più disarmante e sconfortante, ho il timore che non se ne esca vivi. I problemi incombono, ma chi governa è preso da ben altre questioni e la gente li nasconde masochisticamente sotto la sabbia delle vacanze o sotto l’illusione del benessere consumistico. Prima o poi verranno a galla e saranno guai seri per tutti.
Non si sa a chi guardare con un minimo di fiducia. La destra si sta dimostrando ancor peggiore di quanto si potesse immaginare. La sinistra è come il sale per mio zio Mario, che davanti a un tegame di insalata chiedeva a mia madre: «Ghet mis al säl?». Mia madre sorpresa dalla domanda gli chiedeva il perché. E lui ribatteva: «Parchè n’al vèd miga…». Esigeva che l’insalata fosse ingrigita dal sale per superare la barriera del suo palato inspessito dal fumo. Io non vedo la sinistra forse perché ho gli occhi perduti in un passato che non tornerà mai più.
A proposito di passato, in questi giorni è morto un importante uomo politico, Arnaldo Forlani. Non accetto per lui le sbrigative e superficiali commemorazioni mediatiche, anche se, ai tempi in cui militavo nella Democrazia Cristiana non l’ho mai digerito pur riconoscendogli doti non comuni a livello intellettuale e politico. Due disastri sono a lui ascrivibili.
Nel 1971 l’elezione di Giovanni Leone a presidente della Repubblica, non tanto per il candidato più che rispettabile, ma per la manovra di destra che lo portò al Quirinale coi voti missini e contro il centro-sinistra che faticosamente stava prendendo piede, tutto in contrapposizione ad Aldo Moro, che avrebbe avuto i voti anche del partito comunista (sempre il solito discorso…). Fu un autentico choc per la sinistra democristiana, che si piegò per disciplina di partito e per obbedienza a Moro che non volle assolutamente spaccare il partito (era questo un suo pregio, ma forse anche un suo limite).
Nel 1989 Forlani tornò alla segreteria della DC e fu protagonista del patto scellerato tra Craxi, Andreotti e Forlani stesso (il cosiddetto CAF), che portò l’Italia allo sfacelo della corruzione politica, alla fine della cosiddetta prima repubblica e al berlusconismo che non è ancora finito. Uscii dal partito, non ne volli più sapere e non mi sbagliai di molto.
Forlani pagò caramente questa scelta e fu coinvolto in tangentopoli al di là dei suoi demeriti e delle sue responsabilità. Mi dispiacque molto vederlo in tribunale con la bava alla bocca in grave difficoltà davanti alle pressanti, aggressive e faziose domande di Antonio Di Pietro. Fu addirittura condannato e scontò la pena silenziosamente ai servizi sociali. Mia sorella, maestra di rispetto e riguardo verso gli avversari – non era certo una forlaniana – non accettava gli amici di Forlani che lo avevano direttamente o indirettamente scaricato. Tra questi c’era il suo ex portaborse Casini (ve’ chi si rivede…), maestro di autoriciclaggio personale e di opportunismo politico. Oggi fa il panegirico di Forlani, si fa eleggere nel PD a Bologna, continua a pensare al Quirinale, tutto dopo essersi buttato a capofitto nel berlusconismo ottenendone vantaggi non trascurabili.
A questo fumoso e galleggiante doroteo, Pierferdinando Casini, acutamente e impietosamente soprannominato Pierfurby, mia sorella avrebbe saputo come rivolgersi (lo ammetteva lei stessa), dal momento che lo conosceva bene e le friggeva la lingua: “Forlani aveva in tribunale la bava alla bocca, è stato condannato a due anni e quattro mesi di reclusione per finanziamento illecito ed affidato in prova al servizio sociale presso la Caritas di Roma…mentre tu sei ancora in pista a blaterare, a ricoprire incarichi prestigiosi e non hai il buon gusto di andartene a casa…”.
Morale della favola: mi sento molto critico nei confronti di Forlani, che rispetto e che meriterebbe ricordi ben più approfonditi e soprattutto dovrebbe essere rimpianto di fronte alla deriva destrorsa dell’Italia attuale. Tutto sommato e nonostante tutto, valeva più Forlani in un’unghia del piede di tutti i politici attuali di destra e di centro comunque riciclati o camuffati.