Non ho votato Elly Schlein quale candidata alla segreteria del Partito Democratico e devo ammettere di non esserne pentito. La giudico persona seria, pulita, e, come direbbe mio padre: “La n’é miga ‘na gabbiana”. Cosa voglio dire? Che non è una sprovveduta, non è proprio l’ultima arrivata.
Ricordo il dubbio atroce se votare per la continuità post-comunista (Stefano Bonaccini) o per un salto nel nuovo (Elly Schlein). Ho scelto di astenermi seppure con una certa sofferenza. Mentre Bonaccini sta dimostrando di essere uomo di governo più che leader di partito, Schlein si sta rivelando donna di movimenti più che guida politica: va bene per tenere caldo un certo elettorato più modernista che progressista, più libertario che popolare, più civile che sociale. Ma questo l’ho già detto e scritto parecchie volte.
Le hanno appioppato lo scomodo e stucchevole ruolo di anti-Meloni. Non è questo il punto, troppo poco per essere una virtù, troppo severo per essere un difetto. Nella solita menata mediatica c’è tuttavia un fondo di verità che, giorno dopo giorno, sta emergendo con una certa evidenza: l’inadeguatezza di Elly Schlein a svolgere un ruolo di opposizione credibile e trascinante. Non tanto per il rapporto odio-amore con Giuseppe Conte, ma per una propria incapacità di elaborare, proporre e testimoniare una proposta alternativa alla destra che (s)governa.
I cinque stelle fanno l’opposizione all’antica con una relativa coerenza condita da abbondanti spruzzate di demagogia: non pensano a diventare maggioranza, ma soltanto a egemonizzare la minoranza. Lo fanno bene, ma non basta. Scopiazzano il Pci nei difetti senza averne i pregi.
E il Pd guidato da Elly Schlein? Non l’ho ancora capito. Qualcuno finge di averlo intuito e scappa, dove non si sa. Qualcuno finge di aspettare il vero volto del nuovo partito, preoccupandosi soprattutto di recuperare il vecchio partito e di riciclare i frettolosi e presuntuosi rottami del renzismo. In mezzo l’insofferente attendismo della tradizionale dirigenza piddina e la sconfortante attesa di una ripresa di iniziativa politica avvincente ed avvolgente da parte di un elettorato scettico ed esigente.
E allora cosa sta succedendo? Elly Schlein dà un colpo al cerchio e uno al cerchio: butta dei sassi in piccionaia un po’ a casaccio, attacca a testa bassa, butta in faccia al governo dei sacrosanti luoghi comuni, ma non va oltre. Non c’è un disegno, né di partito, né di governo, né a breve né a medio né a lungo termine. Si potrebbe dire tutta tattica e niente strategia, arriverei ad aggiungere tutti slogan e niente più.
Volete un esempio della confusione mentale? Finalmente il Pd ha scelto una battaglia legislativa sul salario minimo. La destra, seppure con qualche marginale distinguo, non è d’accordo sull’introduzione per legge di questa che oserei definire una salvaguardia anti-sfruttamento. Ebbene, proprio nei giorni in cui Giorgia Meloni va in chiara difficoltà in concomitanza della sconfitta in Spagna dei suoi alleati super-destrorsi di Vox, Elly Schlein le offre una certa disponibilità a discutere sul salario minimo, rischiando di aiutarla a togliere le castagne dal fuoco della sua innegabile debolezza sociale dietro la tanto sbandierata forza identitaria (come si è visto in Spagna la gente, quando si sente toccata nel vivo del proprio lavoro e del proprio salario, va al sodo e si accorge che la destra le sta molto stretta).
Quando ascolto le dichiarazioni di Schlein so già cosa dirà e purtroppo dove si fermerà oppure colgo insanabili e fastidiose contraddizioni tattiche. Cose giuste ma scontate o inconcludenti, da gallina giovane che non fa buon brodo. Il problema è che a lei non c’è alternativa, se c’è non la vedo. Non resta che sperare nel naufragio della destra per attaccarsi alla ciambella della sinistra. Di quale sinistra stiamo parlando? Quando si sta per affogare non si può discutere il profilo di chi ti tiene a galla. Quanto al tornare a riva per riprendere il viaggio è tutto un altro discorso.