Non ho capito in cosa effettivamente consista la solidarietà obbligatoria varata dal recente Consiglio d’Europa, mi è sembrato comunque un faticoso e tardivo passo avanti verso una gestione programmata e concordata del fenomeno migratorio. Varsavia e Budapest, per, come si suole dire, non sapere né leggere né scrivere, si sono espressi contro la solidarietà obbligatoria e si sono chiamati fuori dall’intesa raggiunta dagli altri 25 partner europei.
La premier italiana Giorgia Meloni, imbarazzata dalla posizione degli amici e alleati dell’Est, ha provato a trovare una mediazione tramite un incontro trilaterale con Morawiecki e Orban presso la sede della delegazione italiana al Consiglio Europeo. Il tentativo, però, non ha centrato l’obiettivo. La premier però non si è detta delusa, perché “non mi delude mai chi difende gli interessi nazionali”. Ci sta tentando ancora con un viaggio in Polonia: certe questioni a volerle rimescolare puzzano ancor più.
Forse si sta arrampicando sugli specchi con le mani sporche di grasso, forse sta tenendo i piedi in troppe paia di scarpe, forse, anzi certamente, non è all’altezza di mediare a questi livelli (fa fatica a trovare la quadra con Salvini e Tajani, figuriamoci con questi marpioni dell’Est, che, dopo avere munto la vacca europea a più non posso, ora fanno i difficili…).
Dopo avere continuamente denunciato l’indifferenza europea verso il problema dell’accoglienza ai migranti, dopo avere nascosto le inadempienze e incongruenze italiane dietro il paravento della Ue, proprio nel momento in cui sembra sbloccarsi la situazione, i suoi amici, ironia della sorte, le mettono i bastoni fra le ruote. Roba da statista di serie Z!
Ma non è finità lì, perché lei continua a cantar vittoria (chi si contenta gode e fa godere gli italiani) e fin qui il tutto potrebbe rientrare nei giochini della bassa politica dove si sostiene tutto e il suo esatto contrario. Il bello è che con una frase sibillina, che non esito a definire schifosa, arriva a giustificare ideologicamente l’atteggiamento dell’Ungheria e della Polonia, ammantandolo di nazionalismo, di una sorta di patriottismo che viene prima di tutto e tutto spiega.
Una subdola e indiretta dichiarazione di antieuropeismo, una sorta di lapsus freudiano, un goffo e penoso tentativo di cucinare il senso di adesione agli ideali europei in salsa sovranista. E questa sarebbe la svolta politica dei conservatori europei in vista delle prossime elezioni? I casi sono due: o Giorgia Meloni non sa cosa sta facendo o ci sta portando alla deriva dello svaccamento strisciante delle istituzioni europee. Prima o poi anche per lei arriverà una risata che la sotterrerà (non l’ha scappata Berlusconi che la sapeva molto più lunga…).
Fallita la mediazione, al termine del Consiglio Ue la premier italiana ha virato le sue riflessioni in un’altra direzione: all’Italia interessa la dimensione esterna, gli accordi con Tunisia e Nord Africa, mentre, dice Meloni, il patto dell’8 giugno non è così prioritario nella strategia di Roma, benché migliori le attuali regole. Allora la polemica sull’omertoso comportamento europeo? Roba vecchia, adesso Roma cerca di schivare la polemica sul fatto che due dei principali alleati di Meloni non abbiano accettato la sua mediazione per preservare l’unità europea e punta tutto sui rapporti a livello africano.
Mateusz Morawiecki e Viktor Orban, contrari al principio della solidarietà obbligatoria concordato nel Consiglio Affari Interni a Lussemburgo (solidarietà che non prevede solo ricollocamenti, ma anche, in alternativa, compensazioni finanziarie o assistenza tecnica al Paese sotto pressione migratoria), sono riusciti dunque a bloccare i punti sulle migrazioni del Consiglio Ue. Fortunatamente il fatto che le conclusioni sui migranti siano cadute non è però così dirimente, e il lavoro in Consiglio Ue, a livello di ministri degli Interni, va avanti comunque secondo le intese già assunte, perché la posizione negoziale del Consiglio è già stata decisa a maggioranza qualificata, mettendo Polonia e Ungheria in minoranza.
Morale della favola: l’Europa è diventata brava per merito (sic!) di Giorgia Meloni, nonostante i capricci dei suoi amici, grazie alla sua visione internazionale del fenomeno migratorio, grazie alla sua capacità di coniugare il sovranismo con l’europeismo, grazie alla sua azione portata avanti “alle grida” in Italia e “agli opportunismi” nel mondo. Edizione riveduta e scorretta della più scialba realpolitik. Complimenti!
Si sta però aprendo un nuovo fronte molto delicato nei rapporti con la magistratura italiana: una imputazione coatta per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e una indagine in atto contro la ministra Daniela Santanchè. Si può dire che Giorgia Meloni tenti di parlare bene in Europa (con gli strafalcioni di cui sopra), ma razzoli male in Italia: la sua maggioranza è divisa su molte questioni rilevanti, alcuni suoi ministri ne combinano di tutti i colori, ultimamente si sta profilando una gara dura contro i giudici rei di “impicciarsi” dei comportamenti di due esponenti governativi appartenenti al suo partito. Ai cortocircuiti politici se ne stanno aggiungendo uno morale (nel suo partito) e uno istituzionale (rapporti con la magistratura impertinente), roba da far impallidire post mortem Silvio Berlusconi.
Un mio caro ed intelligente amico mi ha mandato un messaggino: “Volano gli stracci…Povero Mattarella!”. Sì, perché il Presidente della Repubblica sta già facendo, in modo peraltro ineccepibile, un superlavoro da capo del governo e ministro degli esteri a livello internazionale; magari presto gli toccherà una notevole grana quale presidente del Consiglio Superiore della Magistratura: quadrare il cerchio tra governo e giudici; forse cercherà persino, per evitare crisi al buio, di calmare i bollenti spiriti di Matteo Salvini e dei quattro gatti inferociti post-berlusconiani. Dovrà finanche insegnare all’opposizione a svolgere il proprio ruolo. Vuoi vedere che, stanco e preoccupato, avrà chiesto a Mario Draghi di alzarsi dalla panchina, togliersi la tuta e scaldarsi?