Premessa. “Nella tipologia dei sistemi politici, si sogliono chiamare autoritari i regimi che privilegiano il momento del comando e sminuiscono in modo più o meno radicale quello del consenso, concentrando il potere politico in un uomo o in un solo organo e svalutando gli istituti rappresentativi: donde la riduzione ai minimi termini dell’opposizione e dell’autonomia dei sottosistemi politici e l’annientamento o il sostanziale svuotamento delle procedure e delle istituzioni intese a trasmettere l’autorità politica dal basso verso l’alto” (Dizionario di Politica – Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino – Gruppo editoriale L’Espresso).
La Corte dei Conti sta cercando di capire come rispondere a quello che rischia di configurarsi come uno scontro istituzionale gravissimo. Tre settimane dopo l’attacco del ministro Raffaele Fitto, che non aveva gradito le delibere critiche sullo stato di avanzamento di due obiettivi del Pnrr e sulle responsabilità dei ministeri, l’Associazione dei magistrati contabili è di nuovo sul chi va là. Perché il governo Meloni si appresta a presentare due emendamenti al decreto Pa, ora in discussione in Parlamento, con l’obiettivo di limitare i poteri della Corte dei Conti. Da un lato verrebbe circoscritto il perimetro d’azione del collegio del controllo concomitante presieduto da Massimiliano Minerva, che si occupa proprio di monitorare la gestione dei fondi del Recovery plan e rilevare eventuali irregolarità. Dall’altro si prolungherebbe la durata dello scudo erariale per i funzionari pubblici introdotto dal governo Conte 2 ed esteso fino al 30 giugno 2023 da Draghi. (da “Il fatto quotidiano)
È una di quelle notizie destinate a scivolare nell’indifferenza, dovuta alla comprensibile ignoranza della gente comune sulle questioni istituzionali e alle inevitabili e sacrosante distrazioni dovute alla tragica contingenza cronachistica. Invece è purtroppo l’ennesimo indizio che fa una prova, quella di un autoritarismo strisciante, di cui in premessa, perseguito dall’attuale governo di destra. Ogni giorno spunta una malcelata nuova intenzione di accentrare i poteri in mano all’esecutivo, mettendolo al riparo dall’inesorabile redde rationem che prima o poi dovrà pure scatenarsi, una volta passata l’apparentemente ingenua sbornia elettorale destrorsa degli italiani (e forse anche degli europei).
Tanto per cominciare, il monopolio dell’informazione: al pur costretto appoggio di Mediaset (a Berlusconi friggerà la lingua, ma non ha alternative) si aggiunge un clima di strisciante censura alla Rai: alla precipitosa conversione dei “port coton” si sta aggiungendo una sorta di filo del rasoio su cui dovrebbero viaggiare gli operatori più recalcitranti. Qualcuno ha capito subito l’antifona e se n’è andato, qualcun altro probabilmente se ne andrà e chi rimarrà accetterà o di adeguarsi per il quieto e lauto vivere o di lavorare come color che son sospesi.
Tra i personaggi in bilico viene dato Corrado Augias. A tal proposito voglio riportare una quasi-gag contenuta nel programma televisivo di Rai 3 “Rebus” di domenica 06 novembre 2022. Si tratta di una bella trasmissione culturale, che va in onda alla domenica pomeriggio, condotta da Giorgio Zanchini con ospite fisso Corrado Augias: i due dialogano brillantemente su temi interessanti con l’aiuto di esperti, scrittori, giornalisti, etc. Nella puntata succitata il tema era la povertà: affrontato con una bella analisi sociologica da una esperta di cui al momento mi sfugge il nome. Al termine della dissertazione, quando ormai stavano scorrendo i titoli di coda, Corrado Augias si è lasciato andare ad un lapidario commento: “Adesso abbiamo un governo che al riguardo ha cominciato bene e sono sicuro che farà ancor meglio in futuro…”. Giorgio Zanchini, stupito del quasi-fuori onda, ha chiesto: “É ironico?”. Al che Augias ha risposto laconicamente: “Veda lei…”. Sono scoppiato in una irrefrenabile ma amara risata: certe volte si ride per non piangere o per sfogare lo stress accumulato… Onore comunque al coraggio televisivo di Augias! Non ho idea se lo scambio fosse stato preparato, ma non credo ed è venuto veramente molto bene. Augias resisterà in questo suo ammirevole atteggiamento critico o come direbbe mio padre al farà ‘na brutta fén.
Al discorso del monopolio informativo e mediatico fa da supporto la subdola anche se ridicola battaglia per l’egemonia culturale: intenzione velleitaria, considerato il fatto che manca l’oggetto del contendere, vale a dire la cultura, ma ricordiamoci che la peggior cultura insinuabile nelle menti degli sprovveduti è proprio la non- cultura.
Poi c’è la partita più grossa e di lungo respiro: l’attacco alle Istituzioni, condito con tanto di insulsa riforma costituzionale: presidenzialismo, autonomia regionale differenziata, attacco ai poteri della Corte dei Conti, persino la crescente insofferenza verso Sergio Mattarella, reo di lesa maestà nel dire quelle verità e nello svolgere egregiamente quelle funzioni che la Costituzione gli riserva.
Di fronte a questa avanzante orda di barbari si erge una opposizione politico-parlamentare debole, incerta e divisa, che non sa fare il proprio mestiere, che non sa che pesci pigliare finendo col fare il pesce in barile. Aggiungiamoci un sindacato piuttosto velleitario, poco rappresentativo e tentato da una parte dalla concertazione di ciampiana memoria e dall’altra parte dalla vociante, piazzaiola e sterile protesta generica.
E Massimo Cacciari sta a guardare dall’alto del suo snobistico e sempre più insopportabile benaltrismo pseudo-culturale.
Siamo messi così e non si sa da che parte voltarsi, se non dalla parte di Mattarella. I romagnoli lo hanno capito molto bene, forse anche perché nel momento del bisogno si vedono i veri amici.