Il campionato dei coccodrilli

Può partire la festa per Ibrahimovic che entra in campo osannato da tutto lo stadio e accompagnato dalla colonna sonora del Gladiatore. Il guerriero di Malmoe ha gli occhi lucidi a 41 anni dopo una carriera infinita piena di successi in ogni angolo d’Europa. Era dall’inizio della serata che Ibrahimovic era commosso per i cori continui dei tifosi rossoneri. In curva la coreografia recita ‘GodBye’ con un gioco di parole che esalta Ibrahimovic. L’attaccante fatica a trattenere le emozioni, inquadrato dai maxi-schermi. Lo svedese poi prende la parola per annunciare il suo addio al calcio: «È venuto il momento di dire ciao al calcio, non a voi», dice Zlatan spiazzando San Siro che si aspettava solo un commiato dal Milan. Invece il centravanti lascia l’attività agonistica senza prendere in considerazioni le offerte per proseguire, a partire da quella del Monza. Passa in secondo piano la vittoria del Milan per 3-1. Apre Giroud su rigore, pareggia Faraoni. Poi nel finale decide una doppietta di Leao. Al Verona non fa troppo male perché perde anche lo Spezia. Poi conquista la scena Ibrahimovic per le sue ultime parole da calciatore.

Nella pancia di San Siro Ibrahimovic ha raccontato le sue sensazioni, inframezzate da battute divertenti: «La giornata è iniziata con la pioggia. Pure Dio era triste. Avevo troppa emozione. Sembravo uno zombie. Non scherzavo e non parlavo. Ma adesso ho accettato e sono pronto. Un po’ triste ovvio. In campo piangevano tutti. Non sapevo chi guardare. Mi mancherà lo spogliatoio».

Lo svedese non ha ancora deciso cosa farà adesso nel mondo del calcio: «Allenatore, procuratore, dirigente? Per il momento ho scelto di prendere tempo e godere di quello che ho fatto nel calcio. Non è giusto decidere subito. Essere allenatore e dirigente comporta tanta responsabilità. E l’allenatore lavora ancora di più». (Stefano Scacchi sul quotidiano “La stampa”)

Può darsi benissimo che Dio fosse triste: la scena non poteva che mettere tristezza anche a Dio. Un pubblico osannante per un eroe di cartamoneta, le lacrime su ordinazione di un furbacchione/ riccone, il tramonto del più bello sport del mondo rovinato da queste assurde manfrine. Mette tristezza anche a me e avrebbe messo tristezza anche a mio padre, che dal pulpito dello stadio mi ha lasciato indimenticabili insegnamenti etici. Si tratta però di una tristezza diversa da quella intesa da Ibrahimovic: non la malinconia per un addio, ma lo squallore di una commedia pseudo-calcistica.

Mio padre, così come era obiettivo e comprensivo, sapeva anche essere intransigente verso le scorrettezze del pubblico, ma anche dei giocatori. Soprattutto pretendeva molto dai grandi campioni superpagati, arrivava alla paradossale esigenza del goal ad ogni tiro in porta per un fuoriclasse come Zico (col da la ghirlanda) incoronato re di Udine al suo arrivo nella città friulana: cose da pazzi! Ma non solo con Zico anche con altri cosiddetti fuoriclasse: mio padre non accettava gli ingaggi miliardari, ne avvertiva l’assurdità prima dell’ingiustizia, faceva finta di scandalizzarsi, ma in realtà coglieva le congenite contraddizioni di un sistema sbagliato. Mi riferisco al sistema calcio ma anche al sistema più in generale.

E capisco mio padre che non era capace, per sua stessa ammissione, di farsi pagare per il giusto, che non osava farsi dare del “lei” dai garzoni, che aveva uno spiccato senso del dovere e non concepiva, nella sua semplicità di vita, questi lauti guadagni. Sogghignava di fronte agli scandalosi ingaggi: “Mo co’ nin farani äd tutt chi sòld li, magnarani tri galètt al di?”  Scherzi a parte mio padre era portatore di un’etica del dovere, del servizio e reagiva, alla sua maniera, alle incongruenze clamorose della società.

Amava mettere a confronto il fanatismo delle folle di fronte ai divi dello sport e dello spettacolo con l’indifferenza o, peggio, l’irrisione verso uomini di scienza o di cultura. Diceva: “Se a Pärma a véna Sofia Loren i corron tutti, i s’ mason par piciär il man, sa gnìss a Pärma Fleming i gh’ scorèzon adrè.”

L’altra sera lo stadio di san Siro era tutto per Ibrahimovic, il resto era fuffa o meglio la fuffa aveva vinto il campionato. Sì, perché nonostante tutto, il campionato non l’ha vinto il Napoli, ma il divismo imperante con annessi i capricci dei divi (ognuno ha i suoi, anche il Parma calcio ha il suo Buffon che piange…). D’altra parte che divo è uno che non fa i capricci. E che campionato è un campionato senza fiumi di lacrime.