La Corte dei conti è un organo di rilievo costituzionale, con funzioni di controllo e giurisdizionali, previsto dagli articoli 100 e 103 della Costituzione italiana, che la ricomprende tra gli organi ausiliari del Governo. La Corte dei conti in base all’art. 100 della Costituzione svolge il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, quello successivo sulla gestione delle amministrazioni pubbliche e il controllo economico finanziario. L’arti.103 recita: “La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”.
Il governo ha presentato alla Camera un emendamento al decreto sulla Pubblica Amministrazione che esautora la Corte dei conti dalla vigilanza sul Pnrr. Il testo abolisce il “controllo concomitante” dei giudici contabili sull’utilizzo dei fondi del Piano, cioè il meccanismo di monitoraggio “in itinere” da parte della Corte sui “ritardi” e sulle “irregolarità gestionali” nell’attuazione del Piano, introdotto dal decreto Semplificazioni del 2020 e attivabile su richiesta delle commissioni parlamentari.
Non sono un giurista e quindi non mi avventuro in valutazioni prettamente tecnico-scientifiche, mi permetto invece di cogliere la portata politica della precipitosa iniziativa governativa: si vuole rimuovere un passaggio per abbreviare al massimo l’attuazione del Pnrr. Non mi convincono le pur autorevoli argomentazioni rassicuranti in ordine alla presenza di sufficienti ed articolati controlli: è tale e tanta l’importanza dell’oggetto da richiedere e rendere opportuno l’intervento di un organo di rilievo costituzionale e di grande competenza ed esperienza come la Corte dei conti.
Oltre tutto non capisco che fastidio possa dare la supervisione di una magistratura specializzata e particolarmente attenta su un capitolo di spesa così imponente e delicato. Se è vero come è vero che quattro occhi vedono meglio di due, il buon senso dovrebbe concludere come sia sempre meglio chiedere un ulteriore parere o punto di vista su qualsiasi questione, aumentando le probabilità di fare un lavoro migliore e diminuendo le possibilità di errore. Non credo esista il rischio di sovrapposizioni di competenze e di confusione di ruoli: abbiamo infatti a che fare con un organismo di alta professionalità previsto dalla Costituzione.
Sul piano strettamente procedurale non mi pare opportuno poi che una simile disposizione venga introdotta tramite un emendamento inserito in un provvedimento legislativo avente altra portata e altra finalità. È questa un’anomalia molto praticata anche se reiteratamente censurata dal Presidente della Repubblica in quanto surrettiziamente lesiva del corretto percorso istituzionale e dei poteri parlamentari.
Venendo al merito politico di questa novità, ritengo che costituisca un pericoloso azzardo: c’è in ballo una caterva di fondi europei ed eliminare un controllo sulla loro gestione è assurdo ed estremamente pericoloso. I lacci burocratici non si eliminano in questo modo, anche perché la Corte dei conti non dovrebbe fare la punta al lapis del Pnrr, ma vigilare rigorosamente sulla sua attuazione al fine anche e soprattutto di prevenire e colpire eventuali inquinamenti mafiosi o comunque comportamenti “disinvolti”.
Perché il governo è intervenuto a gamba tesa sui poteri e le funzioni della Corte dei conti? Sul piano generale si intravede la volontà di spadroneggiare e di spostare sull’Esecutivo il bilanciamento dei poteri, requisito di democrazia: chi ha la maggioranza per governare non ha il diritto di cambiare le regole del governare. Romano Prodi ha recentemente definito le forzature in atto come “autoritarismo”.
Sul piano particolare, inerente il Pnrr, la paura di “rimanerci dentro” nei tempi e modi è molto alta e tale da consigliare inaccettabili scorciatoie. Sarà questo il terreno di verifica delle capacità del governo. Finora siamo rimasti all’antipasto dei provvedimenti identitari che lisciano il pelo all’elettorato di destra, adesso viene il bello e non si potrà scappare: l’accantonamento della Corte dei conti sembra una via di fuga che rischia di essere un vero e proprio boomerang.
L’altro alibi preventivo è lo scaricabarile sull’esecutivo guidato da Mario Draghi. Come ho già scritto, se Draghi aveva fatto male si dica chiaramente in cosa abbia sbagliato e si ponga rimedio a questi errori; se al contrario aveva fatto bene, perché non lo si è lasciato lavorare per portare a termine una colossale impresa. L’alibi draghiano oltre che essere ingeneroso nei confronti di questo personaggio, è irritante dal punto di vista politico e fuorviante dal punto di vista gestionale.
Non credo che questi accorgimenti gioveranno alla credibilità interna ed europea del governo Meloni e soprattutto temo che finiscano col compromettere l’esito della già problematica anche se interessantissima partita del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Già il presentare un emendamento era comunque una forzatura, porre su di esso la questione di fiducia è un autentico sgarbo per la vita delle nostre istituzioni. Il governo ne uscirà rafforzato? Bisogna intendersi su cosa significhi rafforzamento. Non si può governare giocando al braccio di ferro, prima o poi va a finire male…