Spero che gli italiani abbiano vissuto le due ravvicinate festività civili, mi riferisco al 25 aprile e al 1° maggio, non solo e non tanto come occasione di svago turistico-alberghiero per chi se lo può permettere, e nemmeno facendosi fuorviare dai governanti che ne hanno fornito una versione oserei dire maccheronica.
Entrambe le ricorrenze sono state nobilitate dagli interventi del Presidente della Repubblica, che grazie a Dio non sbaglia un colpo. Provo a sintetizzare i suoi discorsi in due lapidarie definizioni: “la Repubblica fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista”; “mentre si riaffaccia la tentazione di arrendersi all’idea che possa esistere il lavoro povero, la cui remunerazione non permette di condurre una esistenza decente, è necessario affermare con forza, invece, il carattere del lavoro come primo, elementare, modo costruttivo di redistribuzione del reddito prodotto”.
La festa della Liberazione ha visto lo sgusciante atteggiamento di un governo, che non solo fatica a dichiararsi apertamente e definitivamente “antifascista”, ma che dimostra nei fatti di non esserlo. Non è una questione nominalistica e demagogica, come qualcuno snobisticamente vuol far credere, ma un problema sostanziale e politico, che trova puntuali riscontri in emblematiche misure di stampo reazionario. Mi riferisco all’istinto repressivo che emerge in continuazione ed alla visione nazionalistica che traspare ad ogni piè sospinto.
La festa del 1° maggio è stata vomitevolmente strumentalizzata dal governo per lanciare penose misure, a sostegno di chi e di cosa non si è capito, in una pantomima mediatica di dubbio gusto e di certa presa per i fondelli. Mentre sull’antifascismo Giorgia Meloni e c. tendono alla inversione di campo, per quanto concerne la festa del lavoro hanno invaso il campo destinato alle manifestazioni sindacali, ricordandosi di avere un’anima sociale da rinverdire ed un’identità populista da sbandierare.
Nonostante gli strenui tentativi di Giorgia Meloni di accreditare se stessa e il suo movimento politico come forza democratica e affidabile, Fratelli d’Italia non esisterebbe senza il sostegno di quella vasta area neo-post parafascista che in Italia è piuttosto ampia e che in questo governo vede un grimaldello per introdurre alcuni suoi cavalli di battaglia (e i fatti dimostrano che il grimaldello funziona, basti pensare ai provvedimenti sull’immigrazione e al tentativo di abolire il reato di tortura, per fare solo due esempi). Questa vasta area ha un bisogno vitale di compattarsi attorno alla propria identità e il rifiuto del 25 aprile come Festa fondante della Repubblica è per loro dirimente (Cinzia Sciuto su MicroMega).
Da una parte quindi non c’è scampo e gli italiani devono rassegnarsi a vivere una sorta di antistoria, solo in minima parte voluta dagli elettori, ma in massima parte subita a causa della debole ed irritante politica rifiutata dai cittadini.
Sul piano sociale alla lunga qualcosa potrebbe succedere: chi ha votato a destra per sadismo protestatario, per masochismo nuovista, per scherzo o follia, prima o poi dovrà fare i conti nel suo portafoglio e può darsi cominci a capire di essersi illuso e di avere preso lucciole meloniane per lanterne sociali. Da tempo registro come gli italiani abbiano perso la bussola per le proprie scelte politiche, nemmeno il tornaconto personale funziona più da parecchio tempo. Meglio non parlare di cuore e di testa. Non rimane che sperare in una sorta di minimale resipiscenza micro-economica.