«Io sono in Rai da 40 anni però non si può essere adatti a tutte le stagioni». A Fabio Fazio per spiegare è bastata una frase. Senza piagnistei né rivendicazioni. Chi ha voluto che non avesse scelta, sa a cosa si riferisce. Anche se il conduttore con il più lungo e largo curriculum tra quelli in servizio per la Rai non ha voluto indicare mandanti né esecutori. Ci ha pensato, e prevedibilmente non ne vedeva l’ora, il vicecapo del governo Matteo Salvini. Su “La Stampa” una giornalista come Flavia Perina, già parlamentare di centrodestra e direttrice-innovatrice di quel “Secolo d’Italia” che fu del Msi e poi di Alleanza Nazionale, riassume il senso del “Belli Ciao” twittato dal vicepresidente del consiglio. Con un colpo solo ha voluto irridere uno dei simboli della Liberazione e al contempo festeggiare l’allontanamento di Fazio, alle cui domande il leader della Lega non ha mai voluto rispondere. «Il Belli Ciao di Salvini – scrive Perina – rivela molte cose. Uno spirito vendicativo che le istituzioni non dovrebbero esibire in modo così plateale». A meno di confondere la democrazia e il ruolo di chi governa per qualcosa d’altro. (Nello Scavo sul quotidiano “Avvenire”)
Non intendo santificare i superpagati conduttori televisivi Rai in odore di eresia e di conseguente defenestrazione, ma il clima di restaurazione, che si sta instaurando, non può essere liquidato con un’alzata di spalle. Circola il rassegnato commento del “è sempre successo così”. Non lo accetto, perché la prassi consolidatasi nel tempo non è sufficiente a giustificare comportamenti censori e clientelari e perché l’attuale contingenza ha in sé alcune gravi ed originali peculiarità.
Il manuale Cencelli nelle assunzioni in Rai, come diceva Enzo Biagi, consisteva nella regola «un democristiano, un comunista, un socialista e uno bravo». Si è andati avanti così e le cose sono via via peggiorate in conseguenza della sempre più forte mediatizzazione della politica, della crescente invadenza dei partiti e della calante etica professionale dei giornalisti. È vero che la democrazia cristiana cercò di occupare il potere facendo razzia dei posti di sottogoverno e lasciò indirettamente campo alla sinistra per quanto riguardava l’elaborazione e la divulgazione culturale: un patto assurdo, che ha creato una pericolosa dicotomia fra cultura del potere e cultura delle idee. A portare all’eccesso questo andazzo ci ha pensato il craxismo, che è riuscito a combinare tutto e tutti in una esplosiva miscela affaristico-clientelare. Poi il berlusconismo ha occupato il potere politico istituzionalizzandolo nell’interesse personale e mettendo le mani su tutto il sistema radiotelevisivo con un perverso trait d’union tra Mediaset e Rai.
Ed ecco spuntare una differenza tra passato e presente: l’invadenza berlusconiana in Rai fu molto pesante, ma il cavaliere aveva i propri media ben protetti e poteva permettersi il lusso di tollerare qualche sgarbo da parte della Rai. Una sorta di democratico specchietto televisivo nella sarabanda mediatica di regime. Oggi i due partiti in lizza nel centro-destra soffrono di tremenda fame arretrata, di senso di inferiorità culturale, di dilettantismo politico e allora non possono permettersi il lusso di fare prigionieri. Il senso del tweet salviniano di cui sopra, vale a dire “Belli Ciao!”, è questo.
Più la politica è debole e lontana dalla gente e più ha necessità assoluta di occupare la scena e di accalappiare consensi. Al riguardo cosa c’è di meglio della Rai? Gli utenti del sistema radiotelevisivo non hanno capacità critica e bevono a gola aperta. Non voglio esagerare, ma la kermesse imbastita da Bruno Vespa a latere della visita italiana di Zelensky è la perfetta sintesi dei desiderata governativi filtrati dal maestro di cerimonie per eccellenza, l’uomo che rappresenta il legame tra potere politico e potere mediatico.
È molto probabile che in Rai l’aria diventi sempre più irrespirabile: giornalisti e conduttori non allineati se ne andranno alla spicciolata trovando riparo e/o rifugio nelle reti private, finendo magari dalla padella del controllo politico alla brace dell’audience pubblicitaria. Chi ci rimetterà sarà il cittadino, vittima del palleggiamento mediatico e del suo regime misto pubblico-privato. Elly Schlein ha risposto picche con l’intervista a Vogue Italia, candidandosi surrettiziamente a fare la lussuosa ruota di scorta: non tanto per i contenuti dell’intervista semplicisticamente identificati con l’opzione dell’armocromia, ma per lo strumento e il metodo scelti. Meglio l’uovo odierno dell’audience, che la gallina prospettica di un qualche recupero democratico. Occorrerebbe il coraggio di dire basta, costi quel che costi, invece…