La cottarella per la politica

“Bizògna stärog a ríddor e cridär”. È la sana regola etica che dovrebbe caratterizzare certe scelte impegnative per sé, ma soprattutto per gli altri. Il discorso vale per la politica: scegliere di entrarvi non è un azzardo qualsiasi, si tratta, oserei dire, di una scelta vocazionale, che quindi non dovrebbe durare l’espace d’un matin salvo casi di forza maggiore

Carlo Cottarelli nel 2018 era giunto ad un passo dal premierato di emergenza, pensato da Sergio Mattarella di fronte all’irresponsabile balletto delle forze politiche che giocavano a fare maggioranza (Lega e M5S). Ci ripensarono all’ultimo minuto aiutati da un fin troppo paziente Capo dello Stato e Cottarelli tornò in panchina. Sarebbe stato meglio un governo tecnico precario per riportare dignitosamente alle urne gli italiani? Lasciamo perdere il senno di poi di cui purtroppo in Italia non son piene le urne.

Nel 2022 Cottarelli ha svestito la tuta per entrare in campo politico con tanto di candidatura nelle file del partito democratico: un tecnico prestato alla politica che non fece il miracolo di impressionare gli elettori orientati in cuor loro a fregarsene altamente di un tecnico seppur di prima qualità, considerata la virata nei riguardi del tecnico per eccellenza, vale a dire Mario Draghi, licenziato su due piedi da coloro che si apprestavano a stravincere le elezioni. Paradossale, ma vero. Quella di Cottarelli fu una delle ultime carte giocate da Enrico Letta in una deriva rassegnata e inconcludente. Lasciamo perdere il suicidio lettiano di cui purtroppo soffriremo le conseguenze per non so quanto tempo.

Cottarelli viene comunque faticosamente eletto nel Senato della Repubblica in cui siede per qualche mese. Manco a farlo apposta, proprio nel giorno del 75° anniversario del Senato repubblicano, decide di lasciare il seggio: non ho capito se per sopraggiunta migliore offerta di lavoro o per incompatibilità con i nuovi indirizzi del PD così come emergenti dalla segreteria Schlein.

“Carlo Cottarelli si dimetterà da senatore. Lo ha annunciato lo stesso economista, eletto con il Pd, nel corso della trasmissione Che tempo che fa, spiegando che l’Università cattolica gli ha “chiesto di dirigere un programma per l’educazione delle scienze sociali ed economiche rivolto agli studenti delle scuole superiori”. “Questa cosa – ha aggiunto – purtroppo non è compatibile con il Senato, e ho deciso di rinunciare alla posizione di senatore: mi dimetterò nella prossima settimana”. Ha aggiunto Cottarelli: “Io andrei a farlo gratuitamente, si fa per spirito di servizio. Consiste in avere 15-20 personaggi senior che hanno avuto una carriera brillante, li chiamo senatori della cultura, che andrebbero a visitare scuole in tutta Italia, a parlare di economia, diritto, costituzione, e di come si comunicano queste cose”, ha spiegato”. (sky tg24)

Tutto molto bello, interessante e disinteressato, ma gli italiani gli avevano chiesto di fare il senatore, non a vita, ma per almeno cinque anni. Come non detto, gli elettori non contano, infatti Cottarelli sembra solo preoccupato di uscire a testa alta di fronte al suo committente, il PD.

Per l’economista “è giusto che quel seggio torni al Pd. Fra l’altro la prima non eletta è una persona molto brava, Cristina Tajani, che insegna al Politecnico di Milano, ed è anche abbastanza vicina all’area di Elly Schlein. Poi è una donna, si migliora anche la parità di genere”. ha spiegato. E sul tema di cambiare partito, ha spiegato: “A me non sembra giusto, io sono stato eletto nel proporzionale, la gente non ha votato il mio nome ma il partito”. Eletto a settembre con il Pd, l’economista ha rivelato che gli “sono state fatte offerte di spostarmi in altri gruppi, non dico quali ma è abbastanza intuitivo: non sono di maggioranza né è il Movimento 5 stelle”. (sky tg24)

Messa a posto, si fa per dire, la coscienza (sempre meglio lasciare che raddoppiare cambiando casacca), entra dalla finestra ciò che sembrerebbe uscire dalla porta, vale a dire la politica.

In una lettera a Repubblica Cottarelli elenca tutti i temi in cui sente di avere “posizioni diverse da Elly Schlein”, dal Jobs Act al freno al Superbonus, dai termovalorizzatori, all’utero in affitto al nucleare.”E’ innegabile (basta vedere la composizione della nuova Segreteria) che l’elezione di Elly Schlein abbia spostato il Pd più lontano dalle idee liberaldemocratiche in cui credo. Ho grande stima di Elly Schlein e non credo sbagli a spostare il Pd verso sinistra”, ha sottolineato Cottarelli, “ciò detto, mi trovo ora a disagio su diversi temi”. (sky tg24)

E allora? È subentrata una incompatibilità politica col partito di appartenenza? Se sì, mi sembra un po’ presto per arrivare alle estreme conseguenze e comunque in un partito si rimane anche se esiste qualche dissenso, si fanno sane battaglie interne prima di gettare la spugna.

Probabilmente c’è di mezzo un concorso di fattori diversi che hanno spinto Carlo Cottarelli a togliere il disturbo pur senza sbattere la porta. Sono da sempre un estimatore dell’istituto delle dimissioni e quindi sono automaticamente portato a solidarizzare con chi le rassegna, ma in questo caso ci puzza di irresponsabile ed egoistica fretta più che di sano distacco dal potere.

Un’ultima battuta sui rapporti fra tecnica e politica. Assodato il primato della seconda, la prima dovrebbe comunque mettersi a disposizione per quanto occorrer possa. Nell’attuale governo i tecnici non stanno certo brillando per autonomia scientifica e per obiettività di scelte. Sembra quasi che la politica si stia prendendo la rivincita dopo essere stata ridimensionata dall’operazione Mattarella/Draghi. Forse Cottarelli ha capito che per lui non era più aria? Ha fiutato il rischio di portare il lume dietro Elly Schlein? Ha intravisto il pericolo di sporcare la sua preparazione professionale in mezzo a una manica di improvvisatori da quattro soldi?

Se è così, ci doveva pensare prima, non si abbandona la nave quando è in difficoltà, non sono ammesse retromarce seppure condite da un certo savoir faire e da una classe che non è acqua. Può darsi che gli italiani beffati gli diano paradossalmente ragione, ma la cosa si farebbe ancor più grave: un involontario assist al pur comprensibile qualunquismo. Se può ripensarci lo faccia. Eviti almeno di ritornare penosamente in sella fra qualche tempo, chiuda definitivamente con la politica che non è un diversivo.

Un simpatico amico di mio padre, soprannominato “Pépo spinasa” (di mestiere faceva il fruttivendolo), al bar, quando si parlava di voglia di lavorare, diceva: «Par mì lavorär l’è un detersìv!». Voleva dire che per lui il lavoro non era considerato un peso, ma un “diversivo”. Credo che troppa gente, anche di alta cultura, stia cadendo nell’errore di considerare il lavoro e finanche la politica come un diversivo. Ci sarebbe bisogno di detersivo, ma questo è un altro discorso.