Finalmente Giorgia Meloni ne ha indovinata una. Con un sussulto di umiltà, mettendo da parte le polemiche, ha mostrato ai partner del G7 le immagini del disastro alluvionale italiano: sì, come si è soliti fare tra amici nei momenti belli e brutti in cerca di condivisione. Credo che la mossa abbia colpito, a giudicare dalle espressioni dei volti dei governanti riuniti in Giappone: vuoi per la incredibile gravità del fenomeno, vuoi per l’implicita richiesta di solidarietà ed aiuto formulata dalla premier italiana.
I media, come al solito attenti soltanto agli aspetti polemici della politica, hanno preferito andare sull’imbarazzante scontro verbale tra Meloni e il premier canadese preoccupato per i diritti Lgbt in Italia: non ho sinceramente voglia di commentare questo aspetto anche se l’approccio meloniano a tale problematica sembra fatto apposta per attirarsi le critiche di tutto il mondo e occorrerà , come minimo, da parte italiana maggiore equilibrio e prudenza nell’affrontare queste delicate tematiche.
Mi è parso di capire che Giorgia Meloni abbia inteso rappresentare, senza se e senza ma, l’intero popolo italiano letteralmente sconvolto dal disastro ambientale, al di là delle facili polemiche e nell’intento di fare presente le nostre enormi difficoltà meritevoli di attenzione e di aiuto. Mi permetto di sperare soprattutto nella comprensione degli Usa (un piano Marshal ambientale?).
Purtroppo è affiorato in Italia l’istinto polemico, riconducibile al ridimensionamento del “miracolo” emiliano, riportandolo coi piedi sulla terra delle responsabilità disattese. Non mi addentro in questi discorsi, non è il momento per affrontarli in modo serio ed obiettivo. Mi limito ad alcune considerazioni di fondo, oserei dire istituzionali e storiche.
Per la difesa e la manutenzione del territorio, così come per altri importanti settori, le competenze e i poteri delle Regioni sono fondamentali anche se non sono stati esercitati con la cura e la competenza necessarie e ciò dovrebbe portare a ben più miti consigli in materia di autonomia differenziata e di poteri rafforzati da assegnare alle Regioni.
In secondo luogo bisogna riconoscere come dal dopoguerra in poi i pubblici poteri a tutti i livelli abbiano privilegiato, in una logica assai poco lungimirante, i problemi impellenti della casa e del lavoro, lasciando costruire ed inquinare a più non posso a suon di cementificazione facile e condonata. L’occupazione ha trovato risposte nell’industrializzazione spinta a prezzo dell’abbandono delle campagne e delle migrazioni interne. L’ambientalismo è stato relegato nei virtuali salotti d’élite, gli ecologisti sono stati rimbrottati come “cretini ecologici”, l’importante era fabbricare, produrre e consumare. La natura e la storia ci stanno presentando conti molto salati.
Scrive l’ingegner Carlo De Benedetti nel suo recente libro “Radicalità -Il cambiamento che serve all’Italia”: “Si tratta di mettere in campo finanziamenti straordinari per affrontare l’emergenza climatica, che è molto peggiore rispetto al Covid, perché il virus si indebolisce mentre il danno ambientale ha una natura incrementale: rimane e si accumula. Il disastro ecologico è una strada a senso unico verso la distruzione che stiamo percorrendo a velocità elevata e con accelerazione costante, come se stessimo viaggiando in Ferrari verso un burrone. Non c’è un vaccino contro la distruzione del pianeta”.
Le responsabilità sono talmente diffuse nel tempo, nello spazio e nelle istituzioni pubbliche e private da rendere grilloparlantesca la ricerca dei colpevoli. E qui viene a fagiolo la battuta velenosa in occasione di una alluvione in Italia (non ricordo dove e quando, ma non ha molta importanza ai nostri fini perché purtroppo la storia si ripete). Di fronte al solito ritornello dei comunisti trinariciuti, quelli col paraocchi, che recitava più o meno “Cozi dal gènnor in Russia in sucédon miga”, mio padre rispose: “Sät parchè? In Russia i gh’àn j èrzon äd cärta suganta”. É indubbiamente una delle più belle battute di mio padre per stile, eloquenza, brillantezza, spontaneità e parmigianità.
Lasciamo perdere quindi i processi improvvisati e le gogne di comodo. Preferisco esprimere il mio totale sconvolgimento esistenziale. Dopo pandemia, guerra e catastrofe ambientale mi sento diverso o, per meglio dire, sento la necessità di essere diverso. Diciamo spesso: “il mondo è cambiato…”. É vero, ma noi purtroppo restiamo sempre gli stessi. Mia madre di fronte alle distruzioni conseguenti a terremoti, alluvioni, etc. si lasciava andare e diceva disperatamente: “L’é mej morìr…”. In un certo senso aveva ragione: o si ha il coraggio di cambiare radicalmente la propria impostazione di vita o si muore. Le pur inevitabili polemiche socio-politiche lasciano il tempo che trovano se non vengono accompagnate da una totalizzante e generale autocritica.
In mezzo al disastro è scattata la solidarietà, soprattutto dei giovani: un filo d’erba fresca in mezzo al fango, un barlume di speranza a cui dare seguito. E pensare che proprio i giovani dovrebbero essere i soggetti più incattiviti e polemici verso gli anziani che consegnano a loro un mondo disastrato. Non basterà nemmeno questa solidarietà a valle, perché occorrerebbe quella a monte. E siamo tutti in debito, nessuno può lanciare la prima pietra. Quella ad esempio proveniente dalla destra che butta le colpe addosso all’emblematica sinistra emiliana e quella che da sinistra colpisce il condonismo, il faraonismo e il falso liberismo della destra al potere. Questa sassaiola non porta da nessuna parte. Porta soltanto magari ad astenersi dal voto quale estrema ratio per una società in sfacelo e a rifugiarsi nell’ulteriore egoismo di fronte ad un mondo perversamente immutabile.