Nella notte destrorsa tutti i gatti sono neri

Nella vita della Repubblica italiana non si era mai verificata una così netta, e per certi versi preoccupante, divaricazione, di carattere culturale, storico e politico, fra le Istituzioni dello Stato come quella del 25 aprile 2023. Non so fino a che punto i cittadini lo abbiano capito e come abbiano reagito, anche perché, se è vero che la liberazione dell’Italia dal nazifascismo fu opera di popolo, è purtroppo altrettanto vero che l’inghippo neofascista in cui siamo caduti è opera di sciagurate elezioni politiche fatte al buio e che hanno sprofondato il Paese nel buio.

Siamo piombati nel peggior revisionismo storico possibile ed immaginabile, in una deriva culturale pazzesca, in una visione politica senza valori e senza riferimenti. Il Presidente della Repubblica ci sta prendendo per i capelli, ma sinceramente non so se basterà anche se gli dobbiamo essere profondamente grati.

Abbiamo un governo che balbetta di democrazia, che non ha il coraggio di schierarsi per puro calcolo elettorale e per “pataglia sporca”, e pensa di cavarsela guardando la storia di traverso, preferendo nascondersi dietro la tanto criticata e osteggiata Europa, dietro la tanto blandita Ucraina, dietro la teoria degli opposti regimi, persino dietro le parole di Paola Del Din, medaglia d’oro al valor militare per la sua attività durante la Resistenza con il nome di “Renata”. Del Din nel 2005 disse che pur non avendone fatto parte non si sentiva di esprimere un giudizio negativo su Gladio, l’organizzazione paramilitare che avrebbe dovuto costituire l’opposizione armata in Italia in caso di invasione sovietica. Per questo fu contestata all’epoca da militanti di Rifondazione Comunista e altre persone in piazza. Meloni scrive che Del Din «durante la Resistenza combatteva con le Brigate Osoppo, le formazioni di ispirazione laica, socialista, monarchica e cattolica. Fu la prima donna italiana a paracadutarsi in tempo di guerra. Il suo coraggio le è valso una Medaglia d’oro al valor militare, che ancora oggi, quasi settant’anni dopo averla ricevuta, sfoggia sul petto con commovente orgoglio. Della Resistenza dice: “Il tempo ci ha ribattezzati Partigiani, ma noi eravamo Patrioti, io lo sono sempre stata e lo sono ancora”».

Abbiamo un presidente del Senato, autentica macchietta kitsch del fascismo d’antan, che, in un crescendo larussiano di cavolate, arriva a sostenere che la Costituzione non c’azzecca con l’antifascismo (roba da vilipendio della Repubblica), per poi fuggire in quel di Praga a scontare il proprio peccato sulla tomba di Jan Palach, patriota cecoslovacco divenuto simbolo della resistenza anti-comunista del suo Paese (una vomitevole e strumentale giravolta storica, che offende tutti, in primis Ian Palach).

Spesso ricorro agli aneddoti paterni per spiegarmi meglio. A mio padre piaceva molto questo: durante una partita di calcio un giocatore si avvicinò all’arbitro che stava facendone obiettivamente di tutti i colori. Gli chiese sommessamente e paradossalmente: «El gnu chi lu cme lu o agh la mandè la federassion?» (Lei è stato inviato ad arbitrare questa partita dalla Federazione o è venuto qui spontaneamente, di sua iniziativa?). Si beccò due anni di squalifica.

Sarebbe il caso di porre questa provocatoria domanda ai signori e alle signore di cui sopra, anche se purtroppo la risposta potrebbe colpevolizzare una piccola folla elettorale di cui avere compassione, fatta di pecore che non hanno pastore.

A questo bailamme istituzionale fa da accompagnamento un penoso dibattito culturale che, a furia di spaccare il cappello in quattro, finisce col criminalizzare i partigiani, che ne avrebbero fatto di cotte e crude, e redimere i fascisti che sarebbero stati in buona fede.

Di questo passo non so dove si potrà andare a finire. Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente (Indro Montanelli). E allora non ci resta che seguire i consigli di Sergio Mattarella, che nel suo discorso celebrativo ha esordito dicendo: «“Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. È Piero Calamandrei che rivolge queste parole a un gruppo di giovani studenti alla Società Umanitaria, a Milano, nel 1955».