La (non) politica migratoria del governo e della maggioranza parlamentare (supinamente accodata), vista l’impraticabilità dei blocchi portuali, vista la velleità della guerra agli scafisti, vista l’assurdità degli ostacoli frapposti all’opera delle Ong, vista la debolezza politica nei confronti della Ue da cui non si riesce ad ottenere una revisione degli accordi penalizzanti in essere, vista l’impossibilità di rimpatriare tout court migliaia di immigrati clandestini, visto che comunque bisogna far credere alla gente che è finita la pacchia per gli immigrati, allora bisogna lavorare sullo smantellamento del sistema di accoglienza. Ecco infatti spuntare l’azzeramento della cosiddetta protezione speciale per i cittadini stranieri inserito in un quadro normativo improntato alla possibilità di adottare misure e procedure emergenziali al di sopra dei diritti dell’uomo.
Come bene spiega Daniela Fassini sul quotidiano “Avvenire”, la protezione speciale è un permesso di soggiorno che spetta ai richiedenti asilo che non possono usufruire delle altre due forme di asilo: ovvero lo status di rifugiato, che viene concesso a chi rischia la persecuzione per motivi sessuali, religiosi o etnici nel proprio Paese d’origine; o la protezione sussidiaria per i cittadini di Paesi in guerra. Il permesso di soggiorno per protezione speciale parte dal presupposto che, se si rifiuta a una persona straniera un permesso di soggiorno, occorre valutare se esistano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, che ne impediscono l’espulsione. È un permesso di soggiorno della durata di 2 anni, rinnovabile, che viene rilasciato al richiedente asilo che non possa ottenere o non abbia ancora ottenuto la protezione internazionale. Può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro.
È importante perché, in aggiunta allo status di rifugiato (per motivi di persecuzione) e alla protezione sussidiaria (per i cittadini dei Paesi in guerra), riconosce una forma di protezione che fa riferimento all’insieme di obblighi costituzionali e internazionali. Il riferimento normativo è l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) che riconosce ad ognuno di noi il diritto alla vita privata e familiare: è il riconoscimento di una protezione speciale anche per radicamento sociale, dato da indicatori oggettivi quali la durata e l’esistenza di un lavoro o la presenza di legami familiari e sociali duraturi che indicano un radicamento nella società. Dal 2020 ha contribuito a regolarizzare quelle persone che hanno appunto costruito negli anni questo radicamento sociale.
Una forma di protezione simile è presente in 18 paesi europei su 27. La Francia e la Germania, ad esempio, hanno normative che sono molto simili alla nostra protezione speciale e mirano a stabilizzare le persone che possono dimostrare un radicamento sociale e fanno riferimento anche loro all’art. 8 della Cedu. La Germania, in particolare, pochi mesi fa, nel 2022, ha sostanzialmente copiato parte del nostro impianto prevedendo forme di riconoscimento della presenza stabile degli stranieri. É vero invece che non esiste al riguardo una normativa europea comune per tutti, per cui ogni Paese decide in proprio, con lo strumento più opportuno per le proprie esigenze.
Gli ultimi dati risalgono al 2021. Tra le 52.987 decisioni di prima istanza emesse nel corso dell’anno, si è registrato un aumento del riconoscimento degli status di protezione. Complessivamente, al 44% dei richiedenti è stato riconosciuto lo status di protezione in prima istanza: di questi, al 32% è stata concessa una forma di protezione internazionale, mentre al 12% è stato concesso lo status di protezione speciale (fonte: Asgi). Nel 2022 sono complessivamente 10.865 i cittadini stranieri che hanno ottenuto la protezione speciale. In Spagna 20.925 e in Germania 30.020 (fonte: Eurostat).
Mi sembra una misura basata su indiscutibili ed irrinunciabili principi umanitari, la cui eliminazione finirebbe con l’essere punitiva verso l’ultimo anello della catena migratoria: i più disperati fra i disperati. Il solito iniquo e sbrigativo metodo per non affrontare il problema e soprattutto per rinunciare a priori a gestirlo seriamente.
È significativo che il Parlamento non riesca a discuterne in modo costruttivo, che molti rappresentanti delle Istituzioni locali siano nettamente contrari, che si voglia sventolare una bandiera ideologica di risulta, infilandola sulla carne viva degli sfigati.
Si brancola nel buio. Come detto, la protezione speciale – che il governo vuole eliminare, attraverso gli emendamenti al decreto Cutro in sede di esame al Senato – e la dichiarazione dello stato di emergenza sono i due fronti di scontro maggioranza-opposizione in tema di immigrazione. Fronti che vanno oltre il Parlamento e coinvolgono anche sindaci e presidenti di regione di centrosinistra. Al disastro di Cutro si vuole aggiungere un altro potenziale disastro. Va considerato anche il fatto che, senza possibilità di concessione della protezione speciale, senza cioè questo ulteriore filtro, rischiamo di condannare alla clandestinità parecchie persone che non riusciremo comunque ad espellere e che saranno costrette a vivere di espedienti più o meno delinquenziali.
Complimenti ed auguri. Abbiamo un governo che non sa e non vuole governare, un Parlamento che non sa e non vuole legiferare, politici che tirano un sasso nella piccionaia migratoria per poi nascondere la mano dietro il mancato supporto della UE. Anche le opposizioni non brillano per proposte concrete e lungimiranti. Un giro vizioso e presuntuoso.
Ammettiamo pure che si tratti di affrontare un’emergenza (non è così perché si tratta di un problema esistente da molto tempo e conseguente ad annose ed errate politiche interne ed internazionali): le emergenze non si affrontano a colpi di maggioranza, ma coinvolgendo tutte le forze politiche e sociali, tutti i territori e le loro rappresentanze, tutta la popolazione correttamente informata, chiedendo sacrifici a chi può farli.