Il presidente della Camera commette una eloquente gaffe su Bachelet, il giurista ucciso dalle Br. Lorenzo Fontana apre la seduta in cui si vota la fiducia sul decreto Pnrr con un saluto agli studenti presenti in aula. Ma, quando si tratta di nominare l’istituto tecnico da cui provengono gli studenti – il Vittorio Bachelet di Ferrara, intitolato al giurista ucciso dalle Brigate Rosse – la sua pronuncia è imbarazzante. Lo pronuncia all’italiana, come se non lo avesse mai sentito nominare. Vittorio Bachelet è morto nel febbraio del 1980. Fontana è nato nell’aprile dello stesso anno. Non può ricordare, ma un po’ di conoscenza della storia da chi presiede la Camera dei Deputati la si potrebbe pretendere.
Il ministro Francesco Lollobrigida non chiede scusa sulla sostituzione etnica: “Sono ignorante, non razzista”. Nessun dietrofront del ministro: «Conta il calo demografico». È nato nel 1972, quando fortunatamente l’Italia aveva da anni voltato pagina rispetto alle scelte razziste del ventennio fascista, però di razzismo e di pulizia etnica se ne è continuato a parlare e nel mondo se ne è continuato a praticare. Si potrebbe dire: è ministro dell’agricoltura e quindi… Se il suo collega della Cultura sostiene che Dante Alighieri era di destra, a lui si può perdonare che non sappia cos’è il razzismo.
Braccia rubate all’agricoltura: un tempo era la brutta battuta tipica per dire ad un ragazzo che il suo impegno e capacità di studio o lavoro erano inadeguate e, pertanto, avrebbe fatto meglio a tornare ai campi, come se il mestiere di contadino fosse condannato, per decisione tacita e universale, a contare poco. Razzismo anche questo. A maggior ragione il ministro dell’agricoltura dovrebbe smentire nei fatti questa teoria discriminante, invece sembra dire: “Scusatemi ma io mi occupo di agricoltura, quindi posso essere ignorante sul resto…”.
La Lega si è smarcata (senti chi parla…): parole brutte quelle di Lollobrigida (in tema di denatalità e migranti ha suggerito di non arrendersi alla «sostituzione etnica»). Giorgia Meloni (lei sì che se ne intende…) ha esposto sostanzialmente lo stesso concetto, ma con maggiore prudenza e abilità (bisogna fare dei figli e non ripiegare sui migranti).
La più bella e più attuale dimostrazione di ignoranza viene dal presidente del Senato Ignazio La Russa. Nei giorni scorsi mentre si avvicinava la festa della liberazione dal nazifascismo mi chiedevo: “Cosa farà mai per prendere parte alle manifestazioni celebrative? Porterà in piazza il busto di Mussolini sottratto al suo personale museo e lo frantumerà di fronte a tutti?”. Mi sarei accontentato anche di molto meno. Invece ecco la solita idiozia: “Nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo”. Secondo il presidente del Senato i “partiti moderati non volevano fare questo regalo al Pci e all’Urss”. Sembra uno scherzo, ma purtroppo non lo è. Non sto nemmeno a controbattere. “Coi fanciulli e coi dementi spesso giova il simular”.
Forse c’è qualcuno che gioca a fare il finto tonto. Non so se preferire di essere governato da tonti o da finti tonti. Un bel problema. Gli italiani sembra che abbiano scelto loro stessi di fare i finti tonti: un modo per risolvere il dilemma. “Ignoranti d’Italia, l’Italia s’è addormentata…”. Solo i partigiani potrebbero portarci via da questa asfissiante deriva destrorsa, ma purtroppo possono solo scaravoltarsi nelle tombe, sta a noi ricordarli, onorarli e imitarli.
Nel periodo in cui mio padre lavorava da imbianchino come dipendente si trovò ad eseguire un lavoro del tutto particolare, scrivere sui muri, a caratteri cubitali, motti propagandistici fascisti (“vincere”, “chi si ferma è perduto” e roba del genere).
Al geometra che sovrintendeva, ad un certo punto, tra il serio ed il faceto disse: “Quand è ch’a gh’dèmma ‘na màn ‘d bianch? “. “Beh”, rispose lui in modo burocratico, “per adesso andiamo avanti così, poi se ne parlerà. A proposito cosa dice la gente che passa?”. Era forse un timido ed innocuo invito ad una sorta di delazione ma mio padre, furbamente, non ci cascò ed aggiunse: “Ch’al s’ mètta ‘na tuta e ch’al faga fénta ‘d njent e ‘l nin sentirà dil béli “. La zona era infatti quella del Naviglio, autentico covo di antifascismo e papà mi raccontò come, tutti quelli che passavano di lì, uomini, donne e bambini le sparassero grosse anche contro di lui, senza tener conto del famoso detto “ambasciator non porta pena”.