Le ultime analisi di Proger Index per PiazzaPulita su La7 evidenziano come l’apprezzamento degli italiani verso Giorgia Meloni sia in leggero calo, così come le intenzioni di voto verso Fratelli d’Italia.
Non sono solito dare valore ai sondaggi, che tuttavia in questo caso mi spingono a due categorie di valutazioni, una di ordine storico e una di carattere politico.
Riavvolgo la pellicola e torno al primo clamoroso successo di Silvio Berlusconi alle elezioni del 1994. La creazione di Forza Italia ebbe un notevole impatto sulla scena politica italiana. Con un partito nato ufficialmente solo due mesi prima delle elezioni politiche, Berlusconi aveva il dichiarato progetto politico di attirare l’elettorato italiano di centro e centrodestra – rimasto senza rappresentanza dopo il dissolvimento dei partiti colpiti dagli scandali di Tangentopoli, in seguito ai quali l’indignazione elettorale aveva decretato la fine e la successiva frantumazione della Democrazia Cristiana, principale partito di centro della politica italiana – oltre che la parte più moderata dei socialisti, cioè la coalizione di governo degli ultimi anni (pentapartito), i cosiddetti «moderati». La scena politica italiana era in fermento: nonostante alcuni analisti considerassero tardiva l’entrata in scena di Berlusconi (a soli due mesi dalle elezioni), egli riuscì a sfruttare con successo la propria immagine di uomo nuovo, ottenendo la vittoria alle elezioni politiche del 1994.
Si dice però che gli esperti, che inventarono, ispirarono e guidarono la sua discesa in politica, gli avessero predetto come la sbornia populista sarebbe durata sei mesi, dopo di che i nodi sarebbero venuti al pettine. I messaggi identitari di allora, vale a dire anticomunismo, liberalismo, nuovismo etc. avrebbero presto mostrato la corda e la cotta elettorale sarebbe stata smaltita. Fu così anche se poi il berlusconismo fra alti e bassi seppe riciclarsi alla grande e durò ancora per molto tempo e forse non è ancora finito.
Giorgia Meloni sta terminando il suo semestre governativo. Vuoi vedere che anche per lei la pacchia elettorale finirà e comincerà una sorta di lento ma inesorabile redde rationem? È certamente più un ingenuo auspicio che una ragionata previsione, ma la speranza è l’ultima a morire. Forse l’eco delle sue grida identitarie si sta spegnendo e viene allo scoperto la sua strafottente pochezza. Ed eccoci alla valutazione politica.
Sul potenziale tavolo del governo Meloni sono presenti in bella evidenza alcuni enormi problemi. Ne cito solo quattro, quelli che mi sembrano più urgenti e drammatici: mi riferisco all’esorbitante affaire pubblico del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, al discorso imprescindibile dell’immigrazione, all’allarmante situazione del sistema sanitario, alla guerra russo-ucraina.
Prima di affrontare questi autentici nodi gordiani, il governo ha pregiudizialmente e tatticamente cercato una legittimazione a livello internazionale ed europeo in particolare, ottenuta tra molte perplessità ed un certo scetticismo, dovuti al quanto meno equivoco passato politico della premier Meloni, alla scarsa affidabilità dei maggiorenti dei partiti di governo (Salvini e Berlusconi), alla contraddittoria collocazione di tali partiti nello scenario europeo (opzioni verso le destre estreme e verso i Paesi sovranisti) e alla modesta levatura dei componenti della compagine governativa (ogni giorno viene evidenziata in modo clamoroso).
Sulla base di questo traballante rispetto tutto da consolidare, il governo, oltretutto diviso al proprio interno in una competizione tra Lega e FdI, naviga a vista senza bussola e senza carta nautica e quindi si limita ad operazioni di piccolo cabotaggio tanto per non rimanere fermo, preoccupato di conservare e implementare la propria identità destrorsa e di buttare un po’ di fumo negli occhi con autentici depistaggi programmatici.
È stato così fin dall’inizio con la cavolata dei rave party, è così ancora con la sciocchezza del sovranismo linguistico, con la zappata sui piedi del divieto per le carni sintetiche, con la sostituzione etnica, con una sorta di tassa sul celibato e con atteggiamenti bigotti sulle problematiche etiche: in mezzo una serie di tira e molla vergognosi, che, tra l’altro, puzzano di nostalgie inconfessabili lontano un miglio, una continua esibizione di specchietti per le allodole, una serie di marchette a favore dell’elettorato di riferimento. Inconsistenza e contraddittorietà ammantate di ridicolo decisionismo e di reazionario perbenismo.
La parola d’ordine governativa sembra essere “depistare”: quando emerge una qualche forte preoccupazione, anziché fornire risposte plausibili nel merito, meglio introdurre qualche assurda novità per distrarre l’attenzione. Mi sembra che il più colossale depistaggio sia il discorso del ponte sullo stretto di Messina. É la cartina di tornasole di quanto detto sopra: una boutade elettoralistica, un progetto velleitario, una tomba in cui seppellire tutti i ritardi infrastrutturali che stanno emergendo, un modo per spendere male i quattrini, che non ci sono e che non si riescono nemmeno a recuperare dove potrebbero essere.
Le difficoltà emergenti dall’attuazione del PNRR vengono buttate all’indietro, ma senza alcuna credibile scelta sul futuro, lasciato all’inadeguatezza burocratica, all’incompetenza amministrativa ed alla confusione decisionale. Al di là del ritornello “è colpa dei governi di Conte e Draghi” non si va. Giorgia Meloni ha la botte piena di voti (si fa per dire) e vorrebbe essere la moglie ubriaca del buongoverno (con i soldi della Ue). Non ci riesce e allora si accontenta di qualche precaria sbronza.
L’attuale governo è molto abile (fino a quando?) nello scaricare le colpe. Sul problema migratorio le colpe vanno alla Ue che lascia sola l’Italia, alle Ong che salvano troppa gente in mare, agli stessi migranti che rappresentano un “carico residuo” per le navi, che sono degli irresponsabili mettendo in mare loro e i propri figli a rischio della vita, all’opinione pubblica che costituisce un elemento attrattivo per i migranti, accettandoli supinamente e “buonisticamente”. Da una parte uno scaricabarile bello e buono, dall’altra un freddo invito al menefreghismo sociale (vedasi vergognosa vicenda Cutro).
Quando il governo Meloni è alle strette, si difende col fatto di essere in carica da pochi mesi e di dover affrontare problemi annosi su cui non avrebbe responsabilità. È una scusa che lascia il tempo che trova, anche perché il buongiorno si vede dal mattino e oltretutto gli attuali governanti provengono da forze politiche che hanno governato, e governato male, anche in passato. Molti dei componenti della compagine governativa non vengono dalla luna, ma da precedenti negative esperienze, si pensi ai berlusconiani, ai leghisti, alla stessa Meloni e ai suoi compagni di partito.
C’è tuttavia in ballo una questione enorme a carattere contingente: il PNRR con tutti quei soldi che ballano tra Ue e Stato italiano. Ebbene mentre stanno emergendo gravissimi ritardi, che rischiano di farci perdere un’occasione irripetibile, è pronta la scusa. Gira e rigira, la colpa è della Ue e…di Draghi. Per quanto concerne la Ue (che poi, fino a prova contraria, siamo anche noi) dovremo stare molto attenti a non irritare l’interlocutore, ma a dialogare umilmente e costruttivamente, pena un corto circuito a dir poco pazzesco.
Quanto al governo Draghi, i casi sono due. Se non era in grado di gestire questa partita, chi lo ha buttato all’aria per andare a sostituirlo, avrebbe dovuto essere al corrente della cosa e non tirarla fuori adesso, sul più bello, per giustificare una situazione che sta diventando insostenibile e rischiosissima. Diversamente avrebbero dovuto lasciare Draghi stesso a cavare dal fuoco le proprie castagne.
Se invece Draghi, come credo, aveva impostato bene il lavoro, perché lo hanno sbrigativamente mandato a casa ben conoscendo la difficoltà di prenderne e gestirne l’impegnativa eredità? E poi non c’è da sorprendersi se in Europa si fidavano più di Draghi rispetto a quanto si fidino di Meloni e c. Lo sapevano benissimo: il carisma e la classe di Draghi non erano e non sono acqua. Invece di investirlo maldestramente con critiche assurde, sarebbe meglio che provassero a chiedergli qualche consiglio e qualche appoggio. Adesso c’è Giorgia Meloni, gli italiani l’hanno voluta, votata e se la tengano. E se perderemo un sacco di soldi, peggio per noi. Vorrà dire che saremo riusciti a farci del male con le nostre stesse mani. Mio padre con un simpatico strafalcione diceva: «Chi è causa del suo mal pianga me stesso». Sì, perché magari ci rimetterà anche chi non l’ha votata. E chi l’ha votata comincerà ad aprire gli occhi?