I depistaggi identitari e le sbronze elettorali

Sul potenziale tavolo del governo Meloni sono presenti in bella evidenza alcuni enormi problemi. Ne cito solo quattro, quelli che mi sembrano più urgenti e drammatici: mi riferisco all’esorbitante affaire pubblico del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, al discorso imprescindibile dell’immigrazione, all’allarmante situazione del sistema sanitario, alla guerra russo-ucraina.

Prima di affrontare questi autentici nodi gordiani, il governo ha pregiudizialmente e tatticamente cercato una legittimazione a livello internazionale ed europeo in particolare, concessa fino a mezzogiorno, vale a dire con molte perplessità ed un certo scetticismo, dovuto al quanto meno equivoco passato politico della premier Meloni, alla scarsa affidabilità dei maggiorenti dei partiti di governo (Salvini e Berlusconi), alla contraddittoria collocazione di tali partiti nello scenario europeo (opzioni verso le destre estreme e verso i Paesi sovranisti) e alla modesta levatura dei componenti della compagine governativa (ogni giorno viene evidenziata in modo clamoroso).

Sulla base di questo traballante rispetto tutto da consolidare, il governo, oltretutto diviso al proprio interno in una competizione tra Lega e FdI, naviga a vista senza bussola e senza carta nautica e quindi si limita ad operazioni di piccolo cabotaggio tanto per non rimanere fermo, preoccupato di conservare e implementare la propria identità destrorsa e di buttare un po’ di fumo negli occhi con autentici depistaggi programmatici.

È stato così fin dall’inizio con la cavolata dei rave party, è così ancora con la sciocchezza del sovranismo linguistico: in mezzo una serie di tira e molla vergognosi, una continua esibizione di specchietti per le allodole, una serie di marchette a favore dell’elettorato di riferimento. Consiglio a tutti di analizzare i principali provvedimenti adottati per verificarne la inconsistenza e la contraddittorietà ammantate di ridicolo decisionismo e di reazionario perbenismo.

La parola d’ordine governativa sembra essere “depistare”: quando emerge una qualche forte preoccupazione, anziché fornire risposte plausibili nel merito, meglio introdurre qualche assurda novità per distrarre l’attenzione. Mi sembra che il più colossale depistaggio sia il discorso del ponte sullo stretto di Messina. É la cartina di tornasole di quanto detto sopra; una boutade elettoralistica, un progetto velleitario, una tomba in cui seppellire tutti i ritardi infrastrutturali che stanno emergendo, un modo per spendere male i quattrini che non ci sono e che non si riescono nemmeno a recuperare dove potrebbero essere.

Le difficoltà emergenti dall’attuazione del PNRR vengono buttate all’indietro (e fin qui ci potrebbe anche stare), ma senza alcuna credibile scelta sul futuro, lasciato all’inadeguatezza burocratica, all’incompetenza amministrativa ed alla confusione decisionale. Al di là del ritornello “è colpa dei governi di Conte e Draghi” non si va.

Quando mio padre si confrontava con persone, che si lamentavano per il peso derivante dal loro patrimonio immobiliare, era solito consigliare provocatoriamente di regalare il tutto agli altri, risolvendo così il problema alla radice. Nel caso dei soldi derivanti dal PNRR vorrebbe dire rinunciarli oppure richiamare in pista immediatamente Conte e Draghi per passare a loro la patata bollente. Giorgia Meloni ha la botte piena di voti (si fa per dire) e vorrebbe essere la moglie ubriaca del buongoverno (con i soldi della Ue). Non ci riesce e allora si accontenta di qualche precaria sbronza.

A proposito di sbronze chiudo ricordando una barzellettina di uno storico personaggio di Parma, Stopàj: questi, piuttosto alticcio, sale in autobus e, tonificato dall’alcool, trova il coraggio di dire impietosamente la verità in faccia ad un’altezzosa signora: «Mo sale che lè l’è brutta bombén!». La donna, colta in flagrante, sposta acidamente il discorso e risponde di getto: «E lu l’è imbariägh!». Si direbbe: uno a uno. Ma Stopaj va oltre e non si impressiona, ribattendo: «Sì, mo a mi dmán la me pasäda!». Al lettore l’incarico di uscire dalla metafora, sostituendo ai personaggi della gustosa gag i protagonisti della contingenza governativa.