Sotto le sparate niente

“Cantami o diva della Meloni Giorgia l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli italiani”. Così ho poetato dopo aver ascoltato l’intervento alle Camere della premier in vista del vertice europeo del 23 e 24 marzo 2023. Questo show di pessimo gusto, fatto davanti al Parlamento, mi ha, se ce n’era bisogno, convinto della inadeguatezza psicologica, ancor prima che politica, e a prescindere dai contenuti (?) della sua azione governativa, dell’attuale Presidente del Consiglio. Non capisco chi si ostina a considerarla una leader: di cosa non saprei proprio.

Le sfuriate meloniane non meriterebbero molta attenzione: siamo al circo, che tutto contiene e tutto giustifica. Ho colto tuttavia due uscite di (in)sicurezza, che mi hanno fatto sbottare in modo particolare. Sulla guerra russo-ucraina, diventata per Giorgia Meloni il certificato di abilitazione a governare in penosa combutta con Usa, Nato ed Europa, si è lasciata andare a due stizzite reazioni nei confronti di chi la criticava, non solo dalle fila della strampalata opposizione, ma anche da quelle della sua scombinata maggioranza.

“Fate proposte!” ha gridato ai suoi critici. Ma non è lei la premier? Non è lei che dovrebbe fare proposte per superare uno stato di guerra sempre più inquietante e preoccupante anche e soprattutto agli occhi della pubblica opinione italiana ed europea? Ritiene che non si possa fare niente di alternativo o almeno complementare rispetto all’invio di armi all’Ucraina e alla ripetizione pedissequa del ritornello della difesa della democrazia? Fa la voce grossa per coprire le contrarietà all’interno dei partiti alleati. Approfitta degli imbarazzati balbettii delle opposizioni per mescolare una pentola sempre più puzzolente di una guerra infinita in cui stiamo sprofondando con masochistica nonchalance.

“Pensate che ci sia qualcuno a cui piace la guerra?”, questa la domanda retorica provocatoriamente posta a chi si dice contrario o quanto meno critico nei confronti della deriva bellicista in cui è intrappolato il nostro Paese. Giorgia Meloni ritiene che la risposta scontata sia “no”. Invece purtroppo la risposta è un secco “sì”. Dietro questa guerra, come per la verità dietro tutte le guerre, ci sono interessi economici riconducibili all’industria bellica e a favorevoli circostanze emergenziali, interessi politici riguardanti la difesa di determinati equilibri internazionali, interessi a mantenere il mondo in una perfida logica di guerra continua ed infinita.

La situazione bellica è cambiata in questo anno, la guerra di invasione russa e di resistenza ucraina si è via via trasformata in uno scontro tra Russia e Stati Uniti con l’Europa a fare da spettatore e la Cina a fare da profittatore. In questo senso, come ha detto Giuseppe Conte, il governo Meloni è la brutta copia del governo Draghi: Mario Draghi dava una parvenza di dignità ed autorevolezza alla posizione italiana, Giorgia Meloni dà sostanza al mero e strumentale appiattimento del Paese alle logiche Nato (si può essere alleati senza essere succubi!). D’altra parte se provasse a distinguersi cadrebbe immediatamente, come premier e come governo: una pera marcia che ruzzolerebbe nell’orto internazionale. Se si guarda intorno, ha dei ministri capaci solo di crearle seri problemi, ha degli esponenti politici che sanno solo fascistizzare la sua immagine, ha degli alleati che la vedono bene “come un bego nella minestra”. Può contare su un consenso popolare ragguardevole quanto volubile, più ventre molle che zoccolo duro.

Mi auguro che questi infortuni parlamentari, queste cadute di stile, queste arroganti esibizioni muscolari, questi attacchi sparati alla “viva il parroco” siano sintomi di come il pallone gonfiato si stia preparando a scoppiare. Sotto sotto se lo augurano anche Berlusconi e Salvini, pronti a riciclare l’alleanza su basi più equilibrate a livello di potere. E l’opposizione? Per ora è incapace di formulare proposte alternative. E i cittadini? Sempre più sfiduciati e scettici, pronti a “vendersi” al peggior offerente.