L’ego cattolico aperto al pluralismo politico

“La fede è politica, perché il Vangelo si fa carico di tutto il vissuto dell’umanità in ogni suo aspetto, ma guai a quei politici che usano la fede per legittimare nient’altro se non la propria posizione, il proprio potere, il proprio stesso ego”. Così scrive Matteo Liut sul quotidiano Avvenire a commento della vita di san Simplicio.

Mentre capisco e in parte condivido le preoccupazioni dei cattolici democratici in ordine al futuro del Partito Democratico capeggiato da Elly Schlein, temo che questo sacrosanto sussulto di dignità politico-culturale possa in qualche modo deviare verso una difesa moralistica, aprioristica e al limite dell’integralismo dei principi cattolici in campo etico.

Non penso sia culturalmente onesto e politicamente opportuno rinchiudere l’azione dei cattolici nel recinto dei “no” in materia di diritti civili: no all’aborto, no al matrimonio omosessuale, no all’adozione per le unioni monogenitoriali, no all’eutanasia, no alle droghe leggere, no all’utero in affitto, etc. etc. Dietro ognuno di questi discorsi c’è una problematica complessa, che una società deve pure valutare, affrontare e risolvere. Se ci si incarta nell’assolutismo dei principi non se ne esce vivi. Fu così per il divorzio, rischia di essere così ancora.

Prendiamo pure il diritto alla vita, principio su cui si dovrebbe essere tutti d’accordo. Ma è diritto alla vita inchiodare un malato terminale al proprio letto senza alcun rispetto per le sue soffertissime decisioni esistenziali? È diritto alla vita criminalizzare una donna che, in buona fede, non se la sente di proseguire la sua gravidanza? È diritto alla vita non dare un riconoscimento civile alle unioni omosessuali? Si potrebbe continuare.

Ai cattolici impegnati in politica è assegnato lo sforzo di coniugare fede e politica e quindi non ci può e non ci deve essere uno steccato dogmatico tra i due campi: vanno cercate soluzioni per il bene della società nel suo complesso. Non è facile, ma non è nemmeno impossibile. E poi è riduttivo, oserei dire offensivo, circoscrivere la cultura politica dei cattolici democratici all’orto dei temi sensibili: il campo è molto più largo, lo dico per esperienza pratica e per approfondimento teorico.

La cartina di tornasole per giudicare una leadership partitica come quella di Elly Schlein non può quindi essere costituita dai principi dell’etica cristiana: il discorso è molto più ampio, articolato e complesso. Mi auguro che il popolarismo cattolico trovi spazio e ascolto non tanto e non solo per la difesa del proprio ego etico, ma per la proposta complessiva di cui è portatore in chiave progressista e pluralista. Questa è la sfida da giocare all’attacco e non in difesa.

In cauda venenum. Vorrei che mi si spiegasse la preferenza di parecchi cattolici democratici verso la segreteria Bonaccini rispetto alla segreteria Schlein. Meglio la certezza della casta post-comunista impersonificata autorevolmente da Bonaccini o l’incertezza del movimentismo di sinistra interpretato da Schlein? Non avrei dubbi al proposito. Preferisco rischiare sul nuovo piuttosto che abbarbicarmi al vecchio, anche a costo di andare in crisi su certe tematiche.

In estrema sintesi: Elly Schlein non scherzi con le implicazioni politiche della fede cattolica e le rispetti, così come i cattolici non si riducano a scherzare col diritto alla laicità della politica.