La democrazia senza rete

Sono rimasto molto colpito dalla violenza della protesta francese contro la riforma pensionistica varata dal presidente Macron. Non ho approfondito queste novità legislative, ma i sacrifici imposti non mi sono sembrati tali da giustificare una simile reazione popolare: niente in confronto alla riforma Fornero disposta dal governo Monti parecchi anni or sono. Mi sono chiesto il perché di tanta virulenta protesta.

Alla luce di alcune analisi di politologi e riflettendo sulle peculiarità istituzionali della Francia sono arrivato ad una conclusione forse un po’ semplicistica, ma non destituita di fondamento, riconducibile al regime presidenziale vigente in quel Paese a noi vicino. Risulta infatti che di questa riforma, la quale, se non erro, prevede l’innalzamento di due anni del limite di età per il diritto alla pensione (da 62 a 64 anni), non abbia discusso nel merito il Parlamento, chiamato ad una sorta di ratifica del provvedimento con una risicata fiducia concessa al governo, e non abbiano discusso i sindacati, chiamati a “berla da bótte”.

Dove voglio arrivare?  Il sistema presidenziale dà indubbiamente maggiori garanzie di continuità, efficienza e chiarezza, ma ridimensiona la funzione delle altre istituzioni (Parlamento e Governo), toglie indubbiamente forza e ruolo alla politica (i partiti) e non consente alle cosiddette forze intermedie (i sindacati) di fare massa critica interpretando i pareri e gli umori dei lavoratori e delle forze produttive.

Il confronto, senza filtri e mediazioni, finisce in piazza e rischia di trasformarsi in scontro con tutte le conseguenze del caso. La democrazia è anche manifestazione e protesta di piazza, ma è, soprattutto e prima di tutto, partecipazione dei cittadini alle scelte tramite i loro rappresentanti politici e sindacali. L’assemblearismo in politica diventa automaticamente populismo. Non sono certo di avere messo il dito nella piaga francese, ma intendo metterlo preventivamente nell’eventuale piaga italiana di un presidenzialismo ancor più sbrigativo e superficiale di quello francese. Il presidenzialismo senza gli opportuni e doverosi contrappesi rischia di mutilare la democrazia, seppure sull’altare del continuismo e di svuotare la partecipazione, sostituendola col populismo.

Pensiamoci bene anche perché in Italia non esiste una storia attendibile che ci conduca verso questa meta. Non mi scandalizzo pregiudizialmente, cerco solo di mettere in chiaro i rischi di una riforma istituzionale che mette non pochi dubbi sulla tenuta del nostro sistema democratico. L’abbinamento con i poteri rafforzati concessi alle Regioni complicherebbe ancor più la situazione, sottraendo la politica al vaglio dei cittadini, che avrebbero ben poche armi in più rispetto alle mere elezioni. Se è vero come è vero che la politica inizia il giorno dopo delle consultazioni elettorali, rimarrebbero poche chance partecipative e la democrazia verrebbe oggettivamente svuotata.

A volte mi sento vedovo delle “belle” proteste di piazza di un tempo, arrivo a desiderarle per contrastare l’attuale deriva destrorsa pseudo-legittimata dalle urne, ma preferisco virare sui partiti che dovrebbero ritrovare identità, idealità e capacità nonché sui sindacati che dovrebbero dare fiato alle sacrosante istanze dei lavoratori. In questa fase storica non nutro grande stima e non accordo grande fiducia agli uni e agli altri, ma la strada, seppure in salita, mi sembra quella. Stiamo ben attenti a non buttare l’acqua sporca della inconsistenza partitica e sindacale con il bambino del vero ed autentico ruolo di partiti e sindacati così come previsto dalla Costituzione italiana.