Il PD tra cultura cattolica e nuovismo d’annata

Da tempo all’interno del Partito Democratico covava un fuoco sotto la cenere, quello dei cattolici democratici a cui, per tutta una serie di motivi, il Pd andava stretto. Detto in estrema sintesi, il malcontento derivava da un certo qual tradimento degli ideali cattolici e della cultura popolare, che dovevano costituire uno dei pilastri del partito, nato proprio dalla fusione tra le due culture storiche della sinistra, vale a dire quella comunista e quella cattolica.

Lo schiacciamento progressivo sulla gestione del potere, il pedissequo allineamento alla sinistra di stampo laburista, la debordante ed egemonica opzione per la difesa dei diritti civili a scapito di quelli sociali, l’imbarazzante spostamento dalle piazze ai salotti, il prevalere della fredda, burocratica e castale impostazione post-comunista, il colpevole silenziamento del dibattito interno ridotto agli equilibrismi correntizi, l’allontanamento dai valori per puntare tutto sul consenso pragmatico, la perdita di feeling con le componenti sociali più disagiate a vantaggio di quelle più intellettualmente a la page sono i punti critici su cui si è consumato, strada facendo, una sorta di strappo culminato in una convivenza da separati in casa.

Evidentemente il congresso ha stimolato questa crisi interpretata da Pierluigi Castagnetti in un recente convegno dei cattolici democratici e popolari, dal quale era uscito una sorta di ultimatum a riprendere i contenuti della carta fondativa del PD, che davano il giusto rilievo all’apporto culturale e politico dei cattolici.

Dal dibattito congressuale e dalle proposte dei candidati alla segreteria non sono emersi significativi e rassicuranti riscontri e quindi la mina ha continuato a vagare in attesa dei risultati delle elezioni primarie. Probabilmente la vittoria di Stefano Bonaccini – alla cui candidatura alcuni personaggi di primo piano inquadrabili nel filone storico e culturale del cattolicesimo democratico (per tutti cito Graziano Del Rio) avevano dato il loro appoggio – avrebbe messo una certa sordina alle rivendicazioni cattolico-popolari, proseguendo magari un modus vivendi poco chiaro, fatto più di fragili equilibri interni che di forti e condivisi richiami culturali. A quanto pare non è andata così.

L’esplosiva vittoria di Elly Schlein ha invece esasperato il problema, considerata l’estraneità della nuova segretaria rispetto alla storia ed alla cultura del cattolicesimo democratico. Mentre con Stefano Bonaccini si poteva trattare una combinazione per vivacchiare, con Elly Schlein occorrerebbe ricostruire da zero quella fusione impostata e tentata dal 2007 in avanti, rivisitandola alla luce della cultura innovativa ma un tantino sconclusionata di cui è interprete la giovane e nuova leader piddina.

Sono partite quindi le manovre per una presa di distanza da parte di un mondo ancora tutto da individuare, ma comunque in cerca di coniugazione degli ideali cattolici con la moderazione politica e il posizionamento centrale, cose assai lontane dalla mentalità schleiniana. L’accentuazione del carattere di sinistra sta cioè inducendo certi cattolici a riposizionarsi in campo politico, con l’intenzione, oserei dire l’illusione, di riprendere sbrigativamente quell’autonomia persa strada facendo.

La suddetta analisi è operata dall’esterno in base più ad impressioni che ad elementi concreti. Ci sarà tempo e modo di esaminare ed approfondire questa intricata situazione. Mi resta al momento il quasi obbligo di proporre alcune riflessioni a caldo dopo il successo di Elly Schlein, che potrebbe spingere alla precipitosa fuga dal PD i cattolici “moderati” orientati verso il centro dello schieramento politico. Lo faccio nella mia qualità di anomalo cattolico democratico, distaccato dalla politica attiva in epoca non sospetta, vale a dire fin dai tempi della segreteria democristiana di Arnaldo Forlani, modesto precursore nei fatti  rispetto alla nascita del PD quanto ad esperienze di dialogo e collaborazione tra cultura cattolica e cultura comunista  a livello di base (nelle sezioni di partito, nei quartieri, sui problemi concreti della gente), deluso ed umiliato nel tempo dall’andazzo piddino fino ad arrivare ad un progressivo astensionismo a livello di militanza e di elettorato.

Posso capire l’imbarazzo dei cattolici, ma non comprendo la loro opzione a favore di Stefano Bonaccini: mi sembra che abbiano inteso parlare con lui di corda con cui impiccarsi. Cosa potevano trovare di interessante nell’esponente più moderno ed autorevole della casta post-comunista al di là di una combinazione di stampo doroteo fra due tradizioni, quella comunista e quella cattolica, tradite e umiliate nel compromesso ai livelli più bassi. Mi sembrano atteggiamenti dettati più dalla paura di “sparire” che dalla voglia di “vivere”.

Posso comprendere anche lo sconcerto di fronte all’affermazione di Elly Schlein, così lontana ma così vicina alla sensibilità politica dei cattolici di sinistra se si ha il coraggio di scendere dai massimi sistemi ai problemi concreti e drammatici che stiamo vivendo. Quanto alla temuta e montante “sinistrite”, ben venga anche perché mi sento più di sinistra rispetto alla nuova segretaria (in base ai criteri soliti, anche se un po’ datati). Faccio di seguito tre esempi di discontinuità, che sembra tanto preoccupare l’establishment di tutti i tipi e di tutti i generi.

La virata in senso “pacifista” della politica estera italiana con un atteggiamento più critico verso gli Usa e la Nato, con un approccio più costruttivo e diplomatico verso la guerra russo-ucraina, con una più stringente e positiva azione verso l’Europa, non sarebbe in linea con la cultura e la storia del cattolicesimo democratico? Si pensi all’atlantismo critico di Giuseppe Dossetti, al pacifismo politico di Giorgio La Pira, all’europeismo profetico di Alcide De Gasperi.

E che dire dell’immigrazione? Cosa ci sarebbe di scandaloso nell’abbandonare la fallimentare tattica degli accordi con i Paesi di provenienza e di transito per andare verso una gestione totale del fenomeno migratorio in tutte le sue fasi al fine di gestirlo a livello europeo con spirito umanitario e con i giusti sacrifici finanziari e sociali?

E cosa c’è di scandaloso nel voler rivedere i principi del cosiddetto “jobs act”, dando assoluta priorità alla battaglia contro il precariato, smettendola di contrapporre in modo schematico difesa dei salari e creazione di lavoro? Non fa parte del patrimonio culturale dei cattolici di sinistra quel filone sindacal-aclista dei Giulio Pastore, dei Carlo Donat Cattin, dei Franco Marini? E allora?

Ho fatto solo alcuni esempi che dovrebbero smorzare la drammatizzazione anti-Schlein e indurre, prima di passare ai fatti, a discutere e parlare di sinistra, lasciando perdere la solita stucchevole insistenza centrista. So benissimo che non sarà facile coniugare la radicata tradizione del cattolicesimo democratico col volatile nuovismo della cultura modernista, ma sarebbe un errore ritirarsi dal gioco prima di vedere le carte. Intendiamoci bene, non sono molto preoccupato delle fughe al centro dei moderati, ma temo che nella confusione degli smottamenti del PD venga sepolta la cultura dei cattolici di sinistra, che fa parte della mia vita politica e del mio impegno sociale.