I figli di nessuno

Lo scontro etico-politico sul riconoscimento dei figli delle coppie gay è arrivato in Parlamento via Bruxelles. La commissione “Politiche europee” del Senato ha bocciato la proposta di regolamento Ue per il riconoscimento dei diritti dei figli anche di coppie gay e l’adozione di un certificato europeo di filiazione. La risoluzione della maggioranza – contraria alla proposta di regolamento e presentata dal relatore, Giulio Terzi di FdI – è passata con 11 voti favorevoli e 7 contrari. Compatte sul no tutte le opposizioni.

Su queste tematiche la politica tende ad invadere il campo dell’etica o, se si vuole, l’etica tende a ideologizzare la politica. Il problema posto dalla UE è quello di armonizzare le legislazioni in modo da garantire a tutti i figli in tutti i Paesi Ue il riconoscimento del loro status e dei loro diritti a prescindere dal fatto che la loro nascita e vita avvenga in un contesto genitoriale eterosessuale oppure omosessuale.

Perché mai un figlio di una coppia gay dovrebbe incontrare difficoltà? Purtroppo per molto tempo fu così anche per i figli cosiddetti illegittimi cioè nati in famiglie non regolari. Per dirla in modo brutale si tratta di casi in cui i figli devono scontare le “colpe” dei loro genitori biologici o “putativi”.

Non tiene il ragionamento di impedire così la surrettizia legittimazione globale di certe pratiche quali la fecondazione eterologa (una tecnica di procreazione medicalmente assistita) e la ben più discutibile surrogazione di maternità o gestazione per altri (una forma di procreazione assistita in cui una donna provvede alla gestazione per conto di una o più persone, che saranno il genitore o i genitori del nascituro).

Su questi temi le legislazioni dei vari Paesi sono diverse e quindi si rischia, per evitare di dare le scarpe ai genitori, di consegnare le ciabatte ai figli, di colpire cioè a valle l’ultimo anello della catena più o meno legittima a monte.

Ma tant’è la smania di accreditarsi come difensori d’ufficio della famiglia “perbene” da squalificare tutto ciò che non rientra nei canoni tradizionali. Dietro questo atteggiamento esistono sicuramente delle rispettabili motivazioni e preoccupazioni etico-culturali, ma c’è anche molta ansia di interpretare schematicamente i principi cristiani e soprattutto molto opportunismo politico in chiave filoclericale.

Il no alla regolamentazione del riconoscimento dei diritti dei figli di coppie gay suona come una sorta di bastone infilato fra le ruote della temuta invadenza omosessuale nella nostra società, come l’apposizione di un limite a certe esagerate rivendicazioni della comunità Lgbt.

Inoltre questo atteggiamento negazionista tende a coprire maldestramente le carenze legislative sulla materia, figlie di una sterile e strumentale contrapposizione ideologica (si pensi alle questioni di lana caprina sollevate per bloccare il disegno di legge Zan, che prevede l’inasprimento delle pene contro i crimini e le discriminazioni contro omosessuali, transessuali, donne e disabili).

C’è sullo sfondo (anche se sta progressivamente venendo in primo piano) il disegno della destra di accreditarsi come forza di conservazione degli assetti etici della nostra società: quel “Dio, patria, famiglia” di mussoliniana memoria. A fronte di questa morbida ma prepotente offensiva la sinistra non deve cadere nel tranello e farsi trascinare in un duello all’ultimo diritto civile. Bisogna affrontare seriamente i problemi e proporne soluzioni ragionevoli prima e più che ideologiche: è questo il modo per portare allo scoperto le manovre di imbalsamazione sociale spacciate per difesa valoriale.

Diceva il cardinale Carlo Maria Martini: «Non è male che due omosessuali abbiano una certa stabilità di rapporto e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili». Dava alla Chiesa e alla politica una lezione di concretezza caritatevole. Ce n’è la necessità impellente se vogliamo uscire dall’imbuto delle sterili guerre ideologiche.

Andiamo a lezione, a contrariis, dalla crociata referendaria contro il divorzio. La società si dimostrò molto più avanzata della politica e delle sue schematiche battaglie. Non creiamo un clima referendario sulle tematiche etiche: non ha senso e avrebbe molto probabilmente riscontri opposti rispetto a quelli desiderati. Su certi problemi non si può scherzare, né con goliardiche accelerazioni, né con bigotte frenate. Si deve navigare a vista nel rispetto delle persone e dei loro sacrosanti diritti e del bene della società: mi sembra che la regolamentazione proposta dalla Ue andasse in questa direzione e quindi non posso accettare lo sbarramento speculativamente posto dalla destra, che non sta governando il Paese, ma sta condannandolo alla retroguardia culturale e all’isolamento politico.