La vita incastrata nei principi

In occasione della celebrazione della giornata della vita (05 febbraio 2023), per denunciare tutti i modi in cui oggi è insidiata la “cultura della vita” la Cei ha diffuso un messaggio («La morte non è mai la soluzione») in cui propone a tutti di chiedersi se, di fronte a tante situazioni personali e collettive drammatiche, la proposta di spegnere la vita umana – con aborto, eutanasia, suicidio, ma anche femminicidi, abbandono dei migranti e guerra – sia davvero in grado di risolvere le questioni per le quali viene offerta come soluzione sbrigativa ed efficiente, o non sia piuttosto l’ora per un impegno coinvolgente a sostegno della vita in qualunque situazione.

A prescindere dall’enfasi con cui si celebrano queste giornate, ridotte a rivisitazione ciclica di principi astratti o riproposizione dogmatica di luoghi comuni, mi pare che, nonostante gli sforzi apprezzabili, si ricada nel solito polpettone nel quale si rischia di perdere il gusto autentico della vita. Passo quindi in rapida rassegna le questioni per toglierle dalla confusa genericità e portarle nella realtà, facendomi aiutare da personaggi che, a mio giudizio, la sapevano e la sanno lunga.

ABORTO: «Sta’ a sentire, non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una povera donna che si è scoperta incinta, è stata picchiata dal suo sfruttatore per farla abortire o se mi arriva una poveretta reduce da uno stupro, sai cosa faccio? Io, prete, le accompagno all’ospedale per un aborto terapeutico: doloroso e inevitabile. Le regole sono una cosa, la realtà spesso un’altra. Mi sono spiegato?» (don Andrea Gallo).

MALATI TERMINALI: «Sulla base di una scelta chiara e consapevole della persona interessata, bisogna rispettare il suo diritto alla non sofferenza, a un minimo di dignità in ciò che rimane della vita. Ogni caso ha una sua trama e una valutazione diversa» (don Andrea Gallo).

SUICIDIO: «(…) Ho ricevuto decine di lettere da parte di sacerdoti. Dicevano di essere addolorati per quel rifiuto del funerale in chiesa. In tanti mi hanno rassicurato: Dio non la pensa come Ruini (…) Tanto dolore ma anche tanta passione per la vita, giorni pieni di relazioni umane, affetti, amicizie e un corpo che alla fine impediva loro di comunicare come avrebbero voluto, prigionieri di una vita che per loro non lo era più. Perché ognuno di noi ha sensibilità, capacità di sopportazione e visioni diverse, ma la Chiesa deve accogliere, capire e non giudicare (…) La Chiesa è cambiata grazie a Bergoglio, visto che dubito Scola faccia qualcosa contro il volere del Papa. Ma credo anche grazie a tutti quei sacerdoti che stanno vicino a chi soffre. Senza giudicare» (Mina Welby, intervista del 07 marzo 2017 sul rifiuto del funerale al marito nel 2006 e sulla preghiera in chiesa a suffragio di Fabiano Antoniani, ricorso al suicidio assistito).

FEMMINICIDIO: «Una vera e propria “fabbrica del pregiudizio”. C’è una tendenza, della destra cattolica e della destra estrema, ad affossare ogni apertura verso le unioni omosessuali, ma anche verso quei nuovi linguaggi, suggeriti dall’Europa e dall’Oms, che dovrebbero insegnare ai bambini il rispetto tra maschi e femmine, radice della prevenzione di omofobia e femminicidi» (Maria Novella De Luca, fotoreporter).

ABBANDONO DEI MIGRANTI E GUERRA: «Non può esserci legalità senza uguaglianza! Non possiamo lottare contro le mafie senza politiche sociali, diffusione dei diritti e dei posti di lavoro, senza opportunità per le persone più deboli, per i migranti, per i poveri. Legalità sono i gruppi e le associazioni che si spendono ogni giorno per questo. Legalità è la nostra Costituzione: il più formidabile dei testi antimafia. Le mafie e ciò che le alimenta – l’illegalità, la corruzione, gli abusi di potere – si sconfiggono solo costruendo una società più giusta. Legalità è speranza. E la speranza si chiama “noi”. La speranza è avere più coraggio. Il coraggio ordinario a cui tutti siamo chiamati: quello di rispondere alla propria coscienza» (Don Luigi Ciotti).

«Doversi confrontare con un papa che si occupa di poveri, di migranti, di lavoratori e di senza lavoro e ha sostituito l’ossessione sessuale e la mania di scrivere direttamente in chiesa le leggi, con quella dell’uguaglianza e della protezione dei deboli, è un bel problema» (Furio Colombo, giornalista e scrittore).

«Un cristiano, di fronte al dramma di milioni di esseri umani  vittime della guerra, della fame, della violenza, della cecità anonima della finanza e del mercato, della ‘politica‘  di potere, proverà vergogna per non riuscire a far nulla nemmeno per quelle poche migliaia  di disgraziati che giungono fino al suo Paese, ma non potrà tacere e non gridare ‘vergogna’ a chi chiude gli occhi di fronte al proprio fratello in umanità che soffre e muore, tanto più se chi si astiene dall’agire ha responsabilità, onori e oneri di governo» (Enzo Bianchi, allora Priore della comunità monastica di Bose).

«Respingere i profughi è un atto di guerra, un altro capitolo di quella guerra mondiale a pezzi. Controllare i poveri ci illude di controllare la povertà, tenerli a distanza ci fa credere che non ci siano, oppure che siano abbastanza lontani da non minacciare i nostri privilegi. Gli esclusi diventano scarto, da spremere ancora un po’ per estrarre quel poco di ricchezza che ancora rimane: da parte di trafficanti senza scrupoli, datori di lavoro disonesti, e più recentemente anche alcuni paesi sviluppati, nei quali si propone di confiscare i pochi beni di chi scappa dalla guerra in conto contributo per le spesse di accoglienza» (Card. Louis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internazionale).

«È ancora fecondo il grembo da cui nasce la guerra. Non basta far abortire il mostro, occorre togliere l’utero. L’unica violenza permessa a un pacifista» (B. Brecht).

Alcuni anni or sono, quando andavo a fare visita ad una mia carissima cugina, ricoverata all’ospedale maggiore di Parma in stato di coma vegetativo, mi capitava di imbattermi all’entrata in un gruppetto di donne che recitavano ostentatamente il rosario in riparazione dei peccati riconducibili all’aborto. Mi davano un senso di tristezza e di pochezza. Per non mancare loro di rispetto frenavo l’impulso di interrogarle provocatoriamente: «Ma voi cosa sareste disposte a fare per una donna sull’orlo dell’aborto? Avreste il coraggio di ospitarla in casa vostra? Avreste la generosità di sostenerla economicamente in modo continuativo? Avreste la forza di aiutarla umanamente ad una scelta così difficile rispettandone la sofferta decisione? Sareste disponibili a fare gratuitamente turni di assistenza a questa mia cugina, alleviando la pena di suo marito, costantemente presente al capezzale di una moglie inchiodata nel letto senza prospettive di ritorno ad un seppur minimo livello di funzioni vitali?».

Pongo una domanda “brutalmente delicata”: è più difesa della vita l’obiezione di coscienza dei medici contro l’aborto, la recita del rosario per il perdono del peccato di aborto o l’aiuto concreto ad una donna in difficoltà a non abortire (accettandone comunque la sua decisione finale)?

E poi, non dimentichiamo quanto scritto da papa Francesco nella lettera per l’Anno Santo della misericordia: «Ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono».